Quadri falsi ritenuti autentici e autentici scambiati per falsi: la National Gallery di Londra mette in mostra le sue sviste
ANDREA MALAGUTI
CORRISPONDENTE DA LONDRA
Dopo anni di imbarazzi, amarezze mai raccontate e momenti di depressione, alla National Gallery si sono fatti coraggio e, sostenuti dai nuovi sofisticati strumenti di indagine, hanno esorcizzato i fantasmi mettendo in mostra la rappresentazione fisica delle proprie vergogne. Così hanno preso quaranta opere false, ritoccate, attribuite ad autori sbagliati o non capite - «Figùrati se quello è un Raffaello». Lo era. - e le hanno messe in fila come farebbe Silvan con le carte truccate e il cappello a cilindro: vi facciamo vedere da dove è uscito il coniglio. Dopo averle scannerizzate, studiate e rivoltate, ne hanno colto i segreti e hanno deciso di raccontarli. «D’ora in avanti sarà più difficile farci cadere in errore».Marjorie E. Wieseman è una signora imponente e raffinata, con i capelli di Valentina di Crepax, però castani, e uno sguardo decisamente più duro. È lei che ha curato l’organizzazione e ha scelto il titolo per l’esposizione: «Esame ravvicinato: falsi, errori e scoperte». Il percorso è suggestivo, il contesto speciale. La vetrata d’ingresso su Trafalgar Squadre conduce a una sala cinematografica - che anticipa le sei dell’esposizione - dove un filmato documenta le tecniche di ricerca, dai raggi X ai test di solubilità sul colore. «I meccanismi di investigazione sulle proprietà fisiche dei dipinti hanno permesso scoperte decisive». È emerso di tutto, anche opere con un doppio fondo, in cui ciò che si vede nasconde il capolavoro.
La ragazza alla finestra, ad esempio, dolce, modesta, con gli occhi ingenui, tondi, e il corpetto spesso, a prova di tentazione, era in realtà una appassionata, provocante bionda rinascimentale, con occhi orientali pieni di malizia. Non è chiaro se il dipinto sia stato preso e poi ritoccato o pagato già nella sua versione più casta. Il dubbio resta, quello che è certo invece è il meccanismo di manipolazione utilizzato per renderlo in linea con i gusti e con il senso del pudore dell’età vittoriana. «A svelare il segno originale sono stati i raggi X». L’immagine intercettata sembrava - era - l’anima selvaggia e sincera dell’innocua brunetta. «Abbiamo scoperto così che l’autore non era né inglese né contemporaneo, ma piuttosto italiano e del Cinquecento». Chi era? Questo rimane un segreto.
Certa invece la mano che ha dipinto una Madonna hollywoodiana attribuita a Botticelli. Il quadro suscitò molte perplessità perché l’espressione della bocca, teatralmente deformata, sembrava quella di un’attrice del muto. La National Gallery decise che era originale. «Le analisi dei pigmenti del colore hanno stabilito che il quadro fu realizzato nel 1930, 420 anni dopo la morte del maestro fiorentino». E gli esami comparati ne hanno determinato l’autore: il falsario Umberto Giunti. Un artista, nel suo campo.
I mercanti d’arte sostengono che ancora oggi il 40% delle opere sul mercato siano false, ma Betsy Wieseman, co-curatrice della mostra, ritiene che le possibilità di prendere un abbaglio siano prossime allo zero, almeno per i grandi musei. «Il livello di sofisticazione della ricerca è molto alto e si completa con il ricorso agli esami di stile, alla memoria visiva e naturalmente alla valutazione dello storico dell’arte». Il suo collega Ashok Roy, direttore delle ricerche scientifiche del museo, è considerato l’ispettore Callaghan del dipinto-truffa. «Non capisco la mitizzazione dei truffatori. Sono persone che avvelenano il mercato immettendo in circuiti di qualità pezzi di nessun valore». Che spesso mettono i critici in imbarazzo.
È il caso della Madonna dei garofani di Raffaello. Dipinta tra il 1506 e il 1507, la Vergine che guarda rapita il bambino in un momento di gioco è stata oggetto di molte imitazioni. A metà dell’Ottocento fu acquistata dal Duca di Northumberlan che la espose orgoglioso finché Johann David Passavant, la più celebre autorità in materia, decretò dieci anni più tardi che si trattava di una copia. Il quadro finì in un corridoio buio del castello di Alnwick fino al 1991 quando un curatore della National Gallery lo trovò e decise di farlo acquistare. «Per me è autentico». Ci sono voluti tredici anni di laboratorio, tra raggi infrarossi, analisi del colore, del legno e della tela, poi tutto è stato chiaro: «Autentico». E allora perché è qui? «Semplice, per dimostrare che alla fine vincono i buoni».
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