«I contemporanei non siano
esposti con Caravaggio»
Commissionate a un giovane pittore due tele ispirate al Merisi. Ma poi scatta la censura della sovrintendente
Commissionate a un giovane pittore due tele ispirate al Merisi. Ma poi scatta la censura della sovrintendente
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La Maddalena in estasi dipinto da Nicola Samorì |
MILANO - Chi ha paura dell’arte contemporanea? Accostare a Caravaggio un giovane pittore di talento è forse un sacrilegio? Pare proprio di sì, stando alla vicenda di questa mostra a Porto Ercole (dal 18, alla chiesa di Sant’Erasmo), che commemora la fine della vicenda umana dell’artista (in fuga da Napoli verso Roma, fu arrestato a Palo, si rimise in viaggio colpito da febbre e morì nel 1610 a Porto Ercole). Questa mostra prevedeva la presenza di due tele di grandi dimensioni dipinte da Nicola Samorì, commissionate tre mesi fa all’artista, e ora cancellate dalla mostra, perché non gradite alla soprintendente del polo museale romano, Rossella Vodret, che ha posto il suo veto. (Altrimenti niente prestito).
«Il Caravaggio a Porto Ercole è stato un prestito eccezionale, concesso per la sua forte valenza simbolica, emotiva e culturale. Mettergli vicino delle opere di un contemporaneo è assolutamente fuori luogo», taglia corto la Vodret, che dichiara di aver approvato solo il prestito del San Giovannino e null’altro. Ma così il progetto (prodotto da Aleart con le restauratrici romane Valeria Merlini e Daniela Storti, oltre a Francesca Temperini) è monco della sua parte contemporanea, prevista fin dall’inizio delle trattative, confermano gli organizzatori. Tanto più che i due dipinti di Samorì sarebbero andati all’asta, e il ricavato devoluto all’Archivio di Stato di Roma per il restauro dei documenti sulla vita del Caravaggio. Noi il progetto ve lo mostriamo qui nel suo impianto originario, con questi due dipinti “incriminati”, insieme a quello della Galleria Borghese.
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Il San Giovannino di Caravaggio |
Samorì, per dipingere, si era ispirato alla Maddelena in estasi e al San Giovanni Battista disteso, probabilmente le due tele andate perdute (di cui però esistono copie del Sei e Settecento) che, insieme al San Giovannino (prestito della Galleria Borghese per questa mostra) facevano parte del carico dell’imbarcazione attesa a Roma, e destinato al cardinal Scipione Borghese come “salvacondotto” per rientrare a Roma. Ma cosa c’è che non va in queste due tele di Samorì? Dov’è il sacrilegio? «Solo pochi giorni fa ho saputo che le mie opere non sarebbero più state esposte. Il perché, nessuno me lo ha finora spiegato. Se sono così scandalose, anche questo va considerato un risultato», dice Nicola Samorì, basito per quello che gli è successo. Samorì (classe 1977), è un artista figurativo, dalla mano molto felice e molto dedito al ritratto (sia sotto forma di dipinto che di scultura), in cui i tratti scompaiono nella materia o nel colore, così da far emergere un aspetto dolente, irrisolto, emaciato di questi volti.
La sua Maddalena in estasi si ricollega all’ état morbide, all’isteria patologica che caratterizza l’iconografia secolare di questa peccatrice per eccellenza. Mentre nel San Giovanni disteso, l’accento è posto unicamente sul corpo: il viso è completamente illeggibile, ma non alla Bacon, risultando molto più ectoplasmatico. L’artista, con un gesto performativo, è intervenuto sul colore ancora molle, deformando completamente il viso del santo. «La mia è una corsa contro il tempo: prima nel ricostruire tecnicamente il quadro in tutta la sua complessità, e poi nell’alterarlo in maniera molto forte», spiega l’artista. «Questi non sono lavori che “copiano” le copie. Se li confronto con quelle, sono totalmente diversi nei dettagli. Qui si voleva evocare due assenze con una presenza equivoca».
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Il San Giovanni disteso dipinto da Nicola Samorì |
Ma il punto cruciale, che ha mosso la soprintendenza, sembra proprio essere stata la non opportunità di un confronto fra il San Giovanni del Caravaggio e questi lavori di Samorì. «Non ho scimmiottato il Caravaggio: il mio è un lavoro molto più legato alla cultura del Seicento napoletano di de Ribera. Non c’era la presunzione di fare un confronto, che non avrebbe avuto senso, ma di ricostruire una determinata situazione non ricorrendo però alle copie, per via di delicate problematiche anche relative all’ipotetica autenticità di queste, magari reclamata dai proprietari… Avvalendosi di un lavoro artistico come il mio, ciò permetteva di aggirare il problema». E allora com’è possibile che un progetto approvato vada a gambe all’aria a pochi giorni dall’inaugurazione? «Approvato, ma con le riserve di massima che però ogni museo trattiene fino alla fine quando presta un’opera. Che cosa siano state queste riserve non so, ma so che si sono tradotte nella revoca dei miei lavori. Non me lo aspettavo». La soprintendente Vodret ribadisce a proposito: «Non siamo normalmente abituati a fare prestiti così importanti all’interno di altre mostre che prevedono quadri di arte contemporanea».
Francesca Pini
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