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venerdì 4 giugno 2010

Israele. Abraham B. Yehoshua parla dei fatti della "Freedom Flotilla"

 Israele. Abraham B. Yehoshua: indignazione e condanna per l'azione contro la 'Gaza Flotilla'. Pacate riflessioni dell'ambasciatore Sergio Minerbi.


Amare, durissime e piene di sconcerto le parole del notissimo scrittore israeliano A.B. Yehoshua sul dammatico esito del blocco delle navi della 'Gaza Flotilla' da parte della marina israeliana.
Che parla proprio da quella cittè,Haifa, dalla quale le unità e i commandos che hanno partecipato all'azione di contrasto sono partiti,




http://www.lastampa.it/redazione/cmssezioni/esteri/201005images/yehoshua01g.jpg

"Un’azione stupida. Persino più stupida che feroce. L’indignazione di Abraham Yehoshua è fredda, incredula. Il grande scrittore israeliano, alla vigilia di un viaggio in Piemonte (domenica sarà al festival «Collisioni» di Novello, nelle Langhe, e lunedì al Circolo dei lettori, a Torino), mette insieme i pezzi di questa brutta storia e non riesce a crederci.

Ad Haifa, dove abita, le notizie sono arrivate tramite i media; le navi turche non le aveva viste né poteva vederle nessuno, e forse non erano nemmeno uno dei problemi più sentiti in città. Lui non ci aveva fatto particolarmente caso. Il loro arrivo non era stato motivo di tensione. Ora, il blitz.

Se lo aspettava?

«Assolutamente no. E non avrei mai immaginato che potesse finire in un bagno di sangue. C’erano mille modi per fermare o ispezionare quelle imbarcazioni, e vedere se davvero portavano armi. Non era certamente il tipo di carico ipotizzabile per una spedizione come quella. Potevano benissimo nascondere qualche pistola, qualche fucile, persino qualche granata. Non mi sarei certamente stupito. A Gaza ce sono a migliaia in circolazione, non sarebbe cambiato proprio nulla»

Ma come spiega un intervento così aggressivo?

«Non me lo spiego. Anche dal punto di vista strettamente militare, non c’era alcun bisogno di usare i commandos come in un film americano. E’ ovvio che in una situazione del genere il combattimento divampa in maniera quasi inevitabile, e i soldati sparano se si sentono in pericolo. Se proprio si voleva l’azione di forza, bastava mandarne molti, salire con forze schiaccianti, e forse non sarebbe successo niente».

Ha l’impressione che si sia cercato l’incidente?

«No, questo no. Ho parlato di stupidità, non di malizia. C’erano infinite vie d’uscita: per esempio coinvolgere l’ambasciatore turco, chiedere a lui di ispezionare il carico. O anche solo il personale consolare. Non è stato fatto. Tutto questo non ha senso».

E accade proprio nel momento in cui persino Hamas sembrava disposta a qualche forma di trattativa.«Quelli sono un piccolo movimento, e per di più circondato: da Israele, che peraltro si comporta come se Gaza fosse la Corea del Nord, e dall’Egitto».

Lei vede una contraddizione in tutto ciò?

«Temo che i nostri governanti pensino di far piacere a Abu Mazen, ma non credo proprio che i palestinesi di Fatah gradiscano questo “aiuto” da noi. Anche Hamas può essere un partner per la pace».

C’era un componente di provocazione a suo giudizio?

«Se questi pacifisti turchi volevano esprimere solidarietà a Gaza, che non è comunque sotto assedio economico, perché riceve beni e materiali, dovevano far rotta verso l’Egitto, che controlla i confini da cui passano le merci. Ma anche se si è trattato di una provocazione, non la si doveva fronteggiare a questo modo. Sono comunque dei civili. Non rappresentano un pericolo per Israele. Perché ci siamo comportati come un piccolo Paese terrorizzato e nervoso, perché spaventarsi per una nave? La mia sola risposta è: si è esagerato oltre ogni limite».

Ora teme reazioni sul piano internazionale? 

Il filosofo Bernard-Henri Lévy, in Israele per un convegno, ha appena parlato di immagini più devastanti di una sconfitta militare.

«Non saprei. Bisogna esaminare con precisione la dinamica dei fatti. Gravissimo comunque è il deterioramento delle relazioni con la Turchia, che è sempre stato un vicino affidabile fin dalla nascita dello Stato di Israele».

Ora la loro politica è cambiata. Non da ieri.«Sì, con le aperture all’Iran. Ma noi continuiamo ad averne bisogno, soprattutto per negoziare con la Siria. La Turchia è importante per noi»".

Fonte:La Stampa.it

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