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venerdì 4 giugno 2010

"freedom flotilla" Manolo Luppichini torna a Roma.



Freedom Flotilla, “Israele faccia chiarezza sulla questione dispersi”

di Carlo M. Miele
Osservatorio Iraq, 4 giugno 2010

In un primo momento, poche ore dopo l’assalto israeliano alla Freedom Flotilla, si era parlato di non meno di 19 attivisti morti. Poi il bilancio delle vittime è calato, fino a fermarsi a “sole” nove vittime, tutte di cittadinanza turca.

La stessa Turchia, che pure non ha risparmiato violente accuse al governo di Tel Aviv, nelle ultime ore ha accreditato i dati forniti dalle autorità israeliane, annunciando che non risultano dispersi.

Eppure c’è chi di questa versione non è del tutto convinto. E’ Manolo Luppichini, uno dei sei attivisti italiani che hanno preso parte alla spedizione internazionale. Insieme ad altre centinaia di pacifisti della Flotilla, è stato arrestato dalle autorità israeliane, condotto nel carcere di Beer Sheva, nel deserto del Negev, e successivamente espulso.

Raggiunto telefonicamente a Roma, dove si trova adesso, Luppichini riporta le testimonianze che ha potuto apprendere da tanti testimoni oculari.

“Come sapete – precisa subito - io non ero presente sulla Mavi Marmara (la nave turca assaltata dai commando israeliani, ndr), però i racconti che ho sentito quando siamo stati condotti in carcere di sono drammatici. Non riesco a capire perché siano stati subito accantonati”.

In particolare l’attivista italiano cita la testimonianza di Jerrie Campbell, un’infermiera australiana che si trovava a bordo della nave turca. “Mi ha riferito di aver contato tra i 15 e i 20 cadaveri e di avere anche visto gettare in acqua diversi corpi. E anche gli altri passeggeri della Mavi Marmara raccontavano le stesse, identiche cose”.

Proprio l’intervento del primo ministro turco Recep Erdogan, che ha escluso ufficialmente la presenza di dispersi, ha spinto la maggior parte dei media ad accantonare l’ipotesi di un numero di vittime più alto. Ma secondo l’attivista italiano le dichiarazioni di Ankara non bastano a fugare tutti i dubbi.

“E’ evidente che Erdogan si riferisse solo ai cittadini turchi, ma non può dare conto di quelli delle altre nazionalità. A bordo della Mavi Marmara vi erano centinaia di attivisti, provenienti da circa quaranta paesi. Però le vittime sono tutte turche. E’ possibile che i militari israeliani siano stati così precisi da risparmiare tutte le altre nazionalità? O si tratta solo di un’assurda casualità?”, si chiede.

Secondo Luppichini, non è stata nemmeno denunciata abbastanza l’aggressione compiuta nei confronti dei giornalisti presenti a bordo della Flotilla. “Due delle nove vittime accertate erano reporter. E in più i militari ci hanno sequestrato tutto quello che sarebbe potuto servire per raccontare quanto accaduto, dalle telecamere ai bloc-notes”.

Altrettanto grave è la questione dei maltrattamenti subiti durante tutto il periodo di “sequestro” da parte delle autorità israeliane. Luppichini cita l’esempio del 60enne californiano Paul Larudee, co-fondatore del Free Gaza Movement (una delle ong organizzatrici della spedizione), che sarebbe stato colpito prima dalle micidiali pistole elettriche e poi pestato dai militari. Tuttora non si sa dove sia; forse è ancora sequestrato in Israele, o forse è ricoverato in qualche ospedale.

Lo stesso Luppichini è stato picchiato, ha parecchi ematomi e una costola contusa. La sua preoccupazione però adesso è tutta per la sorte degli altri attivisti, di cui ancora non si hanno notizie certe.

“È evidente che Israele non vuole far conoscere la verità al mondo – dice – Perché non ci restituiscono il materiale sequestrato? Perché non vengono rese note le liste complete degli attivisti presenti sulle navi attaccate? Se davvero non hanno niente da nascondere, perché lo fanno?”

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