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giovedì 25 febbraio 2010

RON ENGLISH: ART, SUBVERSION & POPAGANDA


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In un parola: Dissacrante.
E’ la prima cosa che ti viene da pensare sul suo conto imbattendosi nei suoi lavori e anche l’aggettivo che meglio racchiude tutto il suo atteggiamento nei confronti dell’arte e della vita in generale.
Attualmente in Italia è in mostra a Roma all’interno del progetto “Apocalypse Wow!“, insieme a colleghi della stessa pasta: un nome su tutti  Shepard Fairey alias Obey, e ci siamo capiti.

Ron English è innanzitutto un uomo americano (cognome a parte), nato e cresciuto nella società post-moderna che guarda a ciò che lo circonda con gli occhi dell’ironia e di una fantasia direi quasi psichedelica.
Icone, miti e simboli della nostra cultura sono presi, fatti a pezzi, sconvolti e rimontati in modi sempre nuovi, anticonvenzionali e decisamente poco accademici.
Religion of our culture is commercialism“.
Così si espresse all’inizio della sua carriera, nel lontano 1959: da quella riflessione tragicamente attuale, prese forma tutta la filosofia che ancora oggi guida ogni sua opera.
English mette al muro la nausea da messaggio pubblicitario e lo fa combattendo ad armi pari, con la rielaborazione sovversiva di mascotte, loghi, marchi e slogan, il tutto in chiave (almeno in apparenza) squisitamente pop.

In realtà un certo retrogusto tutt’altro che zuccheroso non manca mai. La cosiddetta Culture Jammin smonta, ricontestualizza e porta a galla tutto il marcio ben nascosto dietro i fronzoli e i sorrisi di plastica del marketing selvaggio.
Dondolando tra sarcasmo e cinico realismo, Ron prima ruba poi usa e così infine svela i tristi trucchi dei meccanismi alla base del consumismo  indotto e martellante dal quale fuggire del tutto è ben difficile ma difendersi si può.
In amore, guerra ed arte, tutto è possibile.

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"Rifiutare di avere opinioni è un modo per non averle. Non è vero?" Luigi Pirandello (1867-1936)