Le accuse: vandalismo, legami con gruppi armati, attentato alla sicurezza nazionale
A Teheran il processo farsa ai dimostranti
Sul banco degli imputati oltre cento persone, fra di loro l’ex vicepresidente. Rischiano la pena di morte
Un centinaio di dimostranti a processo a Teheran (Ap / Fars ) |
Dalle sedie color rosso porpora nell’aula affollata, gli imputati hanno ascoltato la lettura delle accuse da un documento di 15 pagine, secondo il quale i tre principali partiti riformisti avrebbero usato le elezioni per attuare una «rivoluzione di velluto » contro il regime (come quella del 1989 in Cecoslovacchia) come previsto da un piano organizzato da oltre un anno con fondi ricevuti da organizzazioni non governative estere. Secondo l’agenzia di Stato Fars , alcuni imputati hanno confessato in aula che la vittoria di Ahmadinejad è stata regolare, smentendo accuse di brogli da loro stessi rivolte e ripetute da milioni di iraniani in piazza. La prima seduta (non è nota la durata del processo) si è svolta a porte chiuse, senza avvocati difensori, in una Corte rivoluzionaria retta da religiosi. Saleh Nikbakht, avvocato di diversi degli imputati, l’ha saputo dalla tv. E’ corso in tribunale, non l’hanno fatto entrare. Mai la Repubblica Islamica aveva processato politici di così alto livello. Un tentativo di chiudere i conti con l’opposizione e di intimidire la società civile a pochi giorni dalla conferma del presidente Ahmadinejad, dicono gli esperti.
L’abiura esemplare è quella del 52enne Mohammad Ali Abtahi, religioso ed ex vicepresidente del riformista Khatami dal 1997 al 2005, ora braccio destro di Karroubi. Detenuto dal 16 giugno, secondo la moglie ha perso 18 chili. Sul capo mancava il turbante nero che lo qualifica come seyyed, discendente di Maometto. «Ho sbagliato a partecipare alle proteste», ha detto. «Quella delle frodi è una menzogna usata per provocare disordini in modo che l’Iran diventi come l’Afghanistan e l’Iraq». «Confessione» confermata dall’ex vicepresidente Mohsen Safai-Farahani, dagli ex ministri riformisti Mustafa Tajzadeh e Behzad Nabavi. «Gli eventi post-elettorali erano stati pianificati dagli americani da un anno», avrebbe ammesso il sociologo irano-americano Kian Tajbakhsh. Tra gli imputati: i giornalisti Mohammed Atrianfar e Maziar Bahari e il leader del maggiore partito riformista Mohsen Mirdamadi.
Osservatori e attivisti considerano il processo una farsa. Il leader dell’opposizione Mousavi ha smentito i legami con gli stranieri. «Riformisti come Abtahi sono fedeli al cambiamento nel profondo del loro essere », dice al Corriere Azadeh Moaveni , che è stata inviata di Time in Iran e ha scritto Lipstick Jihad e Viaggio di Nozze a Teheran (Newton Compton, in uscita il 6 agosto in Italia). Definisce il processo «una messa in scena con confessioni in stile sovietico» e ricorda il coraggio sempre mostrato da Abtahi: opinionista e blogger oltre che politico, rivelò per primo che la giornalista Zahra Kazemi era stata assassinata in prigione nel ’96 e che il regime ha protetto fuggitivi di Al Qaeda. Quando nel 2001 Khatami ammise che gli ultraconservatori avevano reso impossibili le riforme sperate, la scrittrice ricorda gli occhi lucidi di Abtahi. Ieri ha accusato Khatami di tradimento per aver appoggiato il cambiamento. «Questa 'confessione' — dice Moaveni — è una scommessa cosciente e calcolata per uscire dal carcere e tornare dalla famiglia».
Viviana Mazza
purtroppo sull'Iran non c'è molta informazione in Italia nonostante la situazione sia molto critica
RispondiEliminaha fatto scalpore il caso Neda, perchè forte mediaticamente, ma poi le notizie non hanno avuto la forza di rimanere sulle prime pagine dei nostri quotidiani
ho saputo che domani Moaveni rilascerà una videointervista sul sito di Newton Compton, hanno già pubblicato le domande
Grazie carissimo,
RispondiEliminaMe ne occupero.
Cerco di pubblicare quello che trovo ma sopratutto ho intenzione di pubblicare altre opere di artisti iraniani.
Michel