Avrete notato l’indifferenza dei politici di governo nei confronti di quello che sta succedendo in Tunisia, il Paese islamico più tollerante e meno fondamentalista. L’intera nazione è a ferro e fuoco contro il corrotto presidente Ben Alì, amico di Berlusconi, ex poliziotto al potere dal 1987 grazie a un colpo di Stato agevolato dal Sismi italiano dell’allora governo Andreotti-Craxi, che proprio in Tunisia ha trovato protezione in latitanza durante gli anni di Tangentopoli e sepoltura ad Hammamet, una delle innumerevoli città tunisine dove da giorni divampano scontri tra manifestanti e polizia che spara ad altezza d’uomo (le vittime sono finora una settantina) e saccheggi nei negozi. A far scattare le rivolte è stato un laureato che si è immolato nella piazza di Sidi Bouzid, dopo che i poliziotti gli hanno sequestrato il carretto con frutta e verdura del valore di pochi dinari. Non aveva la licenza ma quel lavoro era l’unico che gli poteva permettere di sopravvivere perché in Tunisia, come in Italia, bisogna avere conoscenze persino per ottenere un permesso di vendita.
I tunisini sono 10 milioni, la metà di loro ha meno di 15 anni e quasi il 70% meno di 30 anni. I laureati sono molto aumentati negli ultimi anni, assieme alla disoccupazione e al carovita. Come in Italia. Ben Alì controlla le tivù come Berlusconi, si tinge i capelli come Berlusconi e come Berlusconi ha abituato i tunisini a messaggi rassicuranti ed eversivi. Che tuttavia sono sempre più numerosi a navigare in rete, dov’è normale disattivare i proxy per dribblare la censura del regime che vieta Youtube ma non Facebook. Tramite il quale migliaia di manifestanti hanno organizzato la rivoluzione in atto, armati di gelsomino da donare ai poliziotti, che infatti in molte zone della Tunisia si sono rifiutati di caricare i manifestanti.
I tunisini in rete, come in Italia, sono un’inedita forza per quel vecchio delinquente di Ben Alì, che prendendone atto, sta disperatamente cercando di non farsi sfuggire la situazione di mano. In due giorni ha silurato i due addetti stampa rimpiazzandoli con un giornalista della tivù nazionale che gli cura la comunicazione, ha sostituito il capo di Stato maggiore dell’Esercito, il ministro dell’Interno , ha indetto il coprifuoco e a reti unificate ha annunciato alla nazione il calo dei prezzi dei generi di prima necessità. Troppo tardi per fermare la rabbia cieca di milioni di tunisini ridotti alla fame quasi come gli italiani. La rivolta del gelsomino nel paese dei datteri sta trascinando in un clima di rivolta pure l’Algeria e l’Egitto. In Libia, per paura di contagio, Gheddafi ha già a sua volta ridotto i prezzi degli alimentari per i 6 milioni di libici.
Ma ormai il tranquillo nord Africa è una miccia incendiata che potrebbe accelerare rivolte a catena anche in ‘Europa. A cominciare dall’Italia, che con la Tunisia ha in comune un capo di governo tinto, liftato, corruttore e corrotto, che usa la polizia per sedare le rivolte, le televisioni per raccontare balle e residenze all’estero dove Ben Alì ha già rifugiato moglie e figlie. Secondo i rapporti svelati da Wikileaks l’ambasciatore Usa a Tunisi Robert Godec, la Tunisia è un “regime sclerotico e corrotto che oltraggia i tunisini” governato da una famiglia “quasi mafiosa“. Come in Italia, che della mafia è la culla senza quasi giacché Berlusconi ha pure il privilegio di averli ospitati a casa e averli finanziati per anni i mafiosi. Ben Alì e Berlusconi sono così amici da organizzare colazioni ferragostane per parlare di affari e fondare Nessma Tv col compagno di merende Tarek Ben Ammar, in cui il piduista puttaniere italiano ci va ogni tanto per esibire la sua dentiera esaltando la “democrazia tunisina”.
Gli italiani si stanno indebitando e impoverendo come i tunisini. I giovani italiani, come i tunisini, non hanno futuro in questo Paese e come i tunisini non accettano di fare i clandestini negli States o in Cina. L’Italia è rinchiusa nella gabbia del suo debito pubblico, della disoccupazione e del progressivo impoverimento sociale. Dalle coste siciliane l’Italia guarda la Tunisia come suo orizzonte prossimo venturo. Perciò i politici italiani non ne parlano. Si salvi chi può.
0 commenti:
Posta un commento
"Rifiutare di avere opinioni è un modo per non averle. Non è vero?" Luigi Pirandello (1867-1936)