di Bruno De Donà
TREVISO (23 novembre) - Per la polizia avrebbero trovato un sistema truffaldino per spillare denaro a extracomunitari in cerca di regolarizzazione. Un giro che avrebbe fruttato qualche cosa come sessantamila euro.(stima per difetto ma si sospettano somme ben più rilevanti).
Lui, Stefano Pagnossin, 38 anni, avvocato, consigliere comunale di Volpago. Lei Ines Tosato, 63 anni, montebellunese, badante. I reati che l’Ufficio Immigrazione della questura di Treviso, attraverso la sua responsabile, Enena Peruffo, ipotizza a carico di entrambi sono il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la violazione della legge sul trattamento dei dati personali.
Stando alle indagini condotte, il caso sarebbe venuto occasionalmente alla luce. Tutto ha avuto inizio con reiterate raccomandate spedite dall’ufficio ad una famiglia di Montebelluna per la regolarizzazione di un marocchino, badante ad un’anziana malata di Alzheimer. Stupore dei parenti: la donna era già seguita da altra persona. Chi era allora costui? E stato così che la polizia ha sentito l’immigrato, un trentatreenne. Era stato un connazionale a indicargli la via per ottenere il permesso di soggiorno: passava per un avvocato, che era già riuscito a risolvere il suo caso. Ci provò anche lui. Gli venne mostrata la foto dell’anziana che sarebbe stata la sua datrice di lavoro. Ma il passaggio comportava l’esborso di 4.000 euro. Da qui la polizia sarebbe riuscita a risalire a Ines Tosato, la quale non avrebbe avuto difficoltà a far scattare una fotografia all’anziana montebellunese, poi esibita al marocchino dall’avvocato. Ovviamente l’interessata era allo scuro di tutto.
«In base alle dichiarazioni del marocchino - ha spiegato la dottoressa Peruffo - siamo quindi risaliti ad otto casi (4 marocchini, tre ucraini, un moldavo), di cui la sessantatrenne era sempre tramite: sei in provincia di Treviso e due in provincia di Padova». A questo punto sono emerse anche altre modalità attraverso cui avveniva il raggiro a suon di migliaia di euro alla volta. Sono infatti stati individuati finti datori di lavoro, gente che metteva a disposizione i propri dati simulando di procedere alla regolarizzazione degli immigrati: una complicità che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata compensata dall’avvocato e dalla badante con circa cinquecento euro tratti dalle somme che i richiedenti sborsavano per ottenere la sospirata regolarizzazione. Solo un caso è risultato agli inquirenti del tutto "pulito". Anche la posizione dei fittizi datori di lavoro è al vaglio del pubblico ministero Giovanni Valmassoi, titolare dell’inchiesta.
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