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lunedì 13 settembre 2010

Silvio Berlusconi: «Governo saldo nel PDL non ci sono mascalzoni !» CONDANNATI, PRESCRITTI, INDAGATI, IMPUTATI E RINVIATI A GIUDIZIO ELETTI IL 13 E 14 APRILE 2008 AL PARLAMENTO ITALIANO

Popolo delle Libertà
Silvio Berlusconi: «Governo saldo nel PDL non ci sono mascalzoni !» 

Il berlusconismo qualche regola per sconfiggerlo e il boicottaggio delle sue aziende.

 Abrignani Ignazio (FI): Avvocato, ex capo della segreteria di Claudio Scajola, è indagato a Milano per dissipazione post-fallimentare nelle indagini sulla bancarotta della Cit, l’agenzia di viaggi dello Stato di cui era commissario straordinario. La Cit è stata acquista dall'imprenditore campano Gerardo Soglia (pure lui candidato per la Pdl, non si sa se anch’egli indagato oppure o), indicato come uno degli imprenditori che dovrebbe far parte della fantomatica cordata Berlusconi per l’acquisto di Alitalia.
Berlusconi Silvio (FI): 2 amnistie (falsa testimonianza P2 e falso in bilancio Macherio); 1 assoluzione dubitativa (corruzione Gdf, falso bilancio Medusa); 1 assoluzione piena (corruzione giudici Sme-Ariosto); 2 assoluzioni per depenalizzazione del reato da parte dello stesso imputato (falsi in bilancio All Iberian, Sme-Ariosto); 8 archiviazioni (6 per mafia e riciclaggio, 2 per concorso in strage); 6 prescrizioni (finanziamento illecito a Craxi con All Iberian; falso in bilancio Macherio; falso in bilancio e appropriazione indebita Fininvest; falso in bilancio Fininvest occulta; falso in bilancio Lentini; corruzione giudiziaria
Mondadori); 3 processi in corso: Telecinco (falso bilancio, frode fiscale, violazione antitrust spagnola), caso Mills (corruzione giudiziaria), diritti Mediaset (appropriazione indebita, falso bilancio, frode fiscale), Saccà (corruzione); 1 indagine in corso (istigazione alla corruzione di alcuni senatori). 
Bergamini Deborah (FI): La sua posizione è al vaglio della Procura di Roma, cui i pm di Milano hanno trasmesso il fascicolo relativo all’ipotesi di interruzione di pubblico servizio, in concorso con l’allora dg Rai Flavio Cattaneo, per aver ritardato  le notizie sui risultati elettorali delle regionali 2005, molto negativi per il governo Berlusconi.
Berruti Massimo Maria (FI): Condannato in via definitiva a 8 mesi per favoreggiamento, per aver depistato nell’estate del 1994 le indagini sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza dopo una visita a Berlusconi a Palazzo Chigi.
Brancher Aldo (FI): Condannato in primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito al Psi, si salva in Cassazione grazie alla prescrizione (per  il secondo reato) e alla depenalizzazione del reato (il primo) da parte del suo stesso governo. Indagato a Milano per ricettazione nell’indagine sulla scalata di Fiorani (Bpl) all’Antonveneta: la Procura trova un conto alla Banca Popolare di Lodi intestato alla moglie di Brancher con un affidamento e una plusvalenza sicura di 300mila euro in due anni.
Briguglio Carmelo (FI): Nel 1999 viene rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e truffa alla Regione e all’Unione europea nell’inchiesta della Procura di Palermo su presunti finanziamenti regionali e comunitari  girati a tre società «amiche» per corsi i formazione professionale. Il processo viene poi trasferito per competenza a Messina, dove i giudici annullano il precedente decreto di rinvio a giudizio e ripartono praticamente da zero. Ma il tour non è finito, perché nel gennaio 2003 il gip messinese
dichiara prescritta una parte delle accuse, e dirotta quelle rimaste (truffa e falso) a Reggio Calabria, in quanto fra gli indagati c’è anche un giudice di pace di Messina. E a Reggio Briguglio viene assolto nel 2006. 
Camber Giulio (FI): Condannato nel 2007 dalla Corte d’appello di Trieste a 8 mesi di reclusione (con rito abbreviato e sconto di un terzo della pena) per millantato credito nell’ambito del crac Kreditna Banka, l’istituto di credito della minoranza slovena fallita nel 1997: nel novembre 1994 avrebbe ricevuto 100 milioni di lire dai vertici dell’istituto, garantendo loro un intervento politico per salvarlo dalla bancarotta. Intervento poi mai compiuto. Infatti la banca fallì. 
Cantoni Giampiero (FI): Ha patteggiato 2 anni di reclusione complessivi prima per corruzione (con risarcimento di 800 milioni di lire) e poi per concorso nella bancarotta fraudolenta del gruppo Mandelli. 
Catone Giampiero (Dc Autonomie): arrestato a Roma nel 2001 per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, falso, false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta pluriaggravata (due bancarotte da 25 miliardi di lire l’una e 12 miliardi di finanziamenti a fondo perduto ottenuti dal ministero dell’Industria – secondo l’accusa – con carte e perizie false), è stato rinviato a giudizio. Così come all’Aquila, sempre per bancarotta fraudolenta (fallimento dell’Abatec, azienda di Chieti da
lui stesso amministrata, che avrebbe dovuto produrre macchinari ad alta tecnologia per la lavorazione dei pannolini, ma fu dichiarata fallita dopo un aumento di capitale deliberato prim’ancora che fossero sottoscritte le quote sociali). La stessa Procura dell’Aquila ha chiuso un’altra indagine a carico di 44 persone, fra cui Catone, su una presunta mega-truffa ai danni della multinazionale Merker e di diverse banche, tra le quali Intesa. Qui Catone è indagato per estorsione, insieme al fratello Mario,
dipendente di Banca Intesa, per aver spillato 118mila euro ad alcuni dirigenti Merker, millantando interventi politici per risolvere i guai finanziari del gruppo. 
Ciarrapico Giuseppe (FI): 5 condanne definitive, una in primo grado e una serie impressionante di arresti e procedimenti penali. Nel 1973 la Corte d’Appello di Roma conferma la sentenza del Tribunale di Cassino e lo condanna per truffa aggravata e continuata ai danni di Inps, Inail e Inam per non aver registrato sui libri paga gli stipendi dei dipendenti. La Cassazione conferma la truffa, ne dichiara prescritta una parte e incarica la Corte d’appello di rideterminare la pena per l’altra. Nel 1974 altra condanna: il pretore di Cassino gli infligge una multa di 623.500 lire per aver violato per quattro volte la legge che tutela “il lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”:sentenza confermata in Cassazione.  Nel marzo ’93 viene arrestato a Roma per lo
scandalo Safim Leasing- Italsanità (per vari miliardi di lire avuti dalla Safim Factor scontando titoli di credito inesistenti dopo aver affittato suoi immobili a Italsanità): nel 1995 viene condannato con rito abbreviato a 1 anno per falso in bilancio e truffa, pena poi confermata in appello e in Cassazione. Aprile ’93: Di Pietro lo fa di nuovo arrestare per una stecca di 250 milioni di lire versata al segretario del Psdi Antonio Cariglia su richiesta di Andreotti. “Era vero, li diedi per arruolare Domenico Modugno alle feste dei socialdemocratici”, dirà lui anni dopo. Passa un mese e torna dentro, stavolta per un presunto miliardo alla Dc andreottiana nello scandalo delle Poste. A giugno, condanna in primo grado a 6 mesi per diffamazione: aveva affisso a
Fiuggi un manifesto in cui dava a un consigliere comunale del “mentitore diffamatore  mestatore”. Nel 1997 la Procura di Roma lo fa rinviare a giudizio per peculato, abuso e falso nella sua attività di re delle acque minerali: secondo il pm Maria Cordova, mentre era custode giudiziario dell’Ente Fiuggi, Ciarrapico omise di versare 20 miliardi al Comune e si appropriò di omme di denaro per spese pubblicitarie, interessi passivi e acquisto di beni capitalizzati, rinnovando il contratto di vendita dell’acqua Fiuggi a una sua società che offriva prezzi inferiori rispetto a un’altra (danneggiando il Comune, che percepiva un
tot a bottiglia). Nel 1995 viene condannato con rito abbreviato per falso in bilancio delle Terme Bognanco. Ma questi processi iniscono in nulla. Nel 1998, però, arriva la mazzata: condanna in Cassazione a 4 anni e 6 mesi per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano. La sua “Fideico”, nel 1982, aveva ottenuto dalla Banca di Roberto Calvi e della P2 un improvviso aumento della linea di credito da 4 a 39 miliardi, restituendo solo le briciole. Nel 1999, il kappaò: la quinta condanna definitiva a 3 anni per il crac da 70 miliardi della società che controllava la “Casina Valadier”, il palazzetto liberty romano trasformato in ristorante. Ma il Ciarra, pur dovendo scontare 7 anni e mezzo, non finisce in carcere: grazie all’età e agli acciacchi, ottiene
l’affidamento ai servizi sociali. Intanto i processi avanzano, con qualche botta di fortuna. Nel ’99, condannato in appello per emissione di assegni a vuoto, il nostro eroe è assolto in Cassazione perchè il reato è stato appena depenalizzato. Nel 2000 cade in prescrizione la condanna in primo grado per violazione della legge sulle assunzioni obbligatorie di invalidi. Nel 2001, condanna in primo grado a Perugia per abuso d’ufficio insieme al giudice fallimentare di Frosinone che nel ’93 regalò l’amministrazione controllata alla sua  capogruppo “Italfin 80” in crisi nera,  evitandogli il crac: reato poi estinto per prescrizione. Intanto lui s’è dato alle cliniche private. E anche in quel ramo riesce a dare lavoro alla Giustizia. Nel 2002 il
Tribunale di Roma lo condanna a 1 anno e 8 mesi per truffa e violazione della legge sulle trasfusioni: insieme ad alcuni dirigenti della “Quisisana”, avrebbe imposto a una cinquantina di pazienti sottoposti a trasfusioni parcelle gonfiate per 3-400 mila lire l’una. E nel 2005 è rinviato a giudizio per ricettazione nella vecchia vicenda delle tangenti al ministero delle Poste.
Ma ci sono pure questioni recentissime, come quella che lo investe per la sua ultima vocazione: editore di giornali locali, undici “cocoperative” tra la Ciociaria e il Molise, finanziati dallo Stato. Del novembre 2007, il Ciarra è indagato a Roma per truffa ai danni di Palazzo Chigi: pare  che tra il 2002 e il 2005 abbia incassato il doppio dei contributi dovuti, attestando falsamente che le società “Editoriale Ciociaria Oggi” e “Nuova Editoriale Oggi” hanno una gestione separata. In attesa di apere come stanno le cose, il Gip gli ha sequestrato i 2,5 milioni che stavano arrivando dalla Presidenza del Consiglio. Intanto il fisco italiano attende che il Ciarra versi 1,495 milioni di euro di tasse mai pagate. E non è questo l’unico suo debito: tallonato dai piccoli azionisti dell’Ambrosiano, risulta residente per  l’Anagrafe in una camera e  servizi annessa a un capannone
industriale dove ha sede la tipografia di “Ciociaria Oggi”, a Villa Santa Lucia, vicino a Montecassino. Dove sovente bussa l’ufficiale giudiziario. Invano. 
Comincioli Romano (FI): Imputato per le false fatture e i bilanci truccati di Publitalia, insieme a Dell’Utri e altri, chiede di patteggiare 1 anno e 8 mesi, ottiene il consenso del pm, ma nel 1995 il Tribunale ritiene troppo bassa la pena concordata e preferisce processarlo: mossa incauta, visto che poi la Cdl, anche col suo voto, abroga di fatto il falso in bilancio, riducendo le pene al lumicino e abbreviando le scadenze della prescrizione. A quel punto la IV sezione del Tribunale fa ricorso alla Corte di giustizia europea e alla Corte costituzionale per l’incostituzionalità della legge. Ma la Corte europea rimanda al mittente l’eccezione, mentre la Consulta tarda a rispondere e quando il processo riprenderà, i reati saranno comunque prescritti. 
Nel febbraio 2008, alla vigilia della fine della legislatura, la giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato respinge al mittente la richiesta di autorizzazione (inoltrata dal gip di Milano Clementina Forleo) a usare le sue telefonate intercettate con l’amico Stefano Ricucci a proposito della scalata al «Corriere della Sera».
De Angelis Marcello (An): Condannato in via definitiva a 5 anni di carcere (di cui 3 scontati in carcere) per banda armata e associazione sovversiva come dirigente e portavoce del gruppo neofascista Terza Posizione, fondato da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Ciccio Mangiameli.
De Gregorio Sergio (FI-Italiani nel Mondo): Dal giugno 2007 è indagato dalla Procura antimafia di Napoli per i reati di riciclaggio e favoreggiamento della camorra. Nel febbraio 2008 è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Roma per il reato di corruzione. Entrambe le indagini nascono in Campania, dove la Guardia di finanza scopre, durante una perquisizione a carico di Rocco Cafiero detto «’o Capriariello», ritenuto un componente del clan Nuvoletta, una serie di assegni firmati??? o girati proprio da De Gregorio. I finanzieri, tra le carte del senatore, scoprono anche un accordo fra l’associazione Italiani nel mondo e il coordinatore forzista  Sandro Bondi, in cui si dà conto dell’impegno finanziario concordato tra le parti (si parla di 500 o 700mila euro), delle quote già consegnate e quelle da fornire con cadenza mensile. I magistrati sospettano che sia il prezzo pagato per convincere il senatore ad abbracciare il centrodestra. E trasmettono l’inchiesta per competenza da Napoli a Roma. 
Dell’Utri Marcello (FI): Condannato definitivamente a Torino a 2 anni e 3 mesi per false fatture e frodi fiscali nella gestione i Publitalia (reato per cui fu arrestato per 18 giorni nel maggio 1995 e poi patteggiò la pena in Cassazione); condannato in primo grado e in appello a Milano a 2 anni per tentata estorsione mafiosa insieme al boss trapanese Vicenzo Virga ai danni dell’imprenditore Vincenzo Garraffa; condannato in primo grado a Palermo a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa; salvato dall’immunità parlamentare dalla richiesta di arresto avanzata nel 1999 dai giudici di Palermo in un processo per calunnia aggravata contro alcuni pentiti (processo chiuso in primo grado con l’assoluzione e ora in fase di appello).
De Luca Francesco (Dc Autonomie): Deputato forzista uscente, ora accasato con la Dc di Rotondi, è indagato dalla Procura di Milano per tentata corruzione in atti giudiziari. Dalle intercettazioni delle sue telefonate con l’avvocatessa del clan camorristico dei Guida, molto attivo a Milano, gli inquirenti hanno scoperto che la donna si era rivolta a lui, nell’autunno del 2006, per aggiustare un processo a carico dei suoi clienti davanti alla V sezione della Cassazione. E gli aveva inviato un appunto con gli estremi della “pratica” addirittura via fax, su un’utenza del Senato. De Luca rispose di averlo “dato a quella persona”, che “sta per andare via” (dalla Cassazione), ma “chi lo sostituisce è un amico”. Quando gli inquirenti si rendono conto che l’avvocatessa parla con un deputato, interrompono gli  ascolti, come imposto dalla legge Boato, e chiedono alla Camera l’autorizzazione a usare telefonate e tabulati. La giunta per le autorizzazioni della Camera decide di non decidere, “concordando all’unanimità un rinvio dell’esame”. Così, intanto, viene sciolto il Parlamento e De Luca – che nega di aver mai contattato magistrati di Cassazione e parla di “equivoco” - viene ricandidato alla Camera in un posto sicuro nelle liste del Pdl, in Veneto1. 
Fasano Vincenzo (An): Ex assessore regionale di An, è stato coinvolto in due procedimenti penali relativi alla gestione delle aree Asi di Battipaglia (Salerno). Assolto in appello dall’accusa di turbativa d’asta, per il quale era stato condannato a 1 anno in primo grado; condannato a 2 anni per concussione il 16 ottobre 2007, pena peraltro indultata. La vicenda si riferisce a richieste da parte di Fasano nei confronti di imprenditori che dovevano avviare un centro commerciale: di posti di lavoro, appalti per la climatizzazione e la gestione dell'area carburanti. Candidato Pdl per il Senato in Campania.
Firrarello Giuseppe (FI): Arrestato e condannato in primo grado (il 13 aprile 2007) a Catania alla pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione per turbativa d’asta nel processo per le tangenti sulla costruzione del nuovo ospedale Garibaldi e del centro residenziale per studenti universitari «Il Tavoliere». Il Tribunale ha trasmesso alla Procura una serie di atti perchè Firrarello venga processato anche per concorso esterno in associazione mafiosa. Fitto Raffaele (FI): Indagato a Bari per corruzione, falso e illecito finanziamento ai partiti, nel 2006 s’è salvato dalle manette perché la Camera ha respinto la richiesta di autorizzazione ad arrestarlo inoltrata dai giudici di Bari. Nel dicembre 2007 la Procura barese ha comunque chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione e illecito finanziamento. L’accusa riguarda presunte tangenti versate a Fitto da Giampaolo Angelucci, re delle cliniche private (anche lui imputato a Bari), che gli avrebbe allungato
500mila euro per la sua lista alle elezioni regionali del 2005 (poi perdute contro Nichi Vendola) in cambio di favori illeciti per vincere l’appalto da 198 milioni che gli ha consegnato le undici residenze sanitarie «assistite» dalla Regione Puglia. Formigoni Roberto (FI):  Imputato per abuso d’ufficio nel processo sui maneggi intorno alla fondazione Bussolera Branca.
Assolto in primo e secondo grado, s’è visto annullare la sentenza dalla Cassazione, che ha ordinato di rifare il processo d’appello. 
Galati Giuseppe (FI): Ex Udc recentemente passato a Forza Italia, è indagato a Catanzaro per associazione a delinquere, truffa e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete. Il pm Luigi De Magistris (nell’indagine «Poseidone», poi avocata dal procuratore Mariano Lombardi) ipotizza che Galati facesse parte di un comitato d’affari che si occupava di spartire tra i vari partiti i fondi pubblici stanziati dalla Regione e dall’Unione europea. 
Giudice Gaspare (FI): Imputato a Palermo per associazione mafiosa, bancarotta fraudolenta aggravata e riciclaggio, nel 2006 è stato assolto in primo grado da tutte le accuse, salvo quella per bancarotta semplice, coperta però da prescrizione. Ma la Procura, che aveva chiesto per lui una condanna a 15 anni, ha fatto ricorso in appello. 
Grillo Luigi (FI): Nell’indagine sulle scalate bancarie del 2005, la Procura di Milano ha chiesto il suo rinvio a giudizio per aggiotaggio per aver «contribuito a trasferire da Fazio a Fiorani informazioni riservate sull’iter di procedimenti di Bankitalia nei confronti di Bpi» (la Popolare Italiana, ex Lodi, di Gianpiero Fiornai); e gli contesta inoltre un episodio di appropriazione indebita («44mila euro nel 2005»). Nel 2006 Grillo, grazie alla prescrizione appena dimezzata dalla legge ex Cirielli, ha visto cadere davanti al gip di Genova le accuse mosse contro di lui per una presunta truffa nella progettazione della Tav Milano-Genova in concorso con dirigenti delle Fs e il costruttore Marcellino Gavio, sospettati di aver ottenuto illecitamente oltre 100 miliardi di lire per interventi di «conoscenza dell’assetto geologico dei terreni nella galleria Giovi». 
La Malfa Giorgio (FI-Pri): Condannato definitivamente a 6 mesi per il finanziamento illecito della maxitangente Enimont: nel 1992 incassò in nero 300 milioni Ferruzzi-Montedison.
Landolfi Mario (An): Ex ministro delle Telecomunicazioni e presidente della commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai, è indagato in Campania per corruzione e truffa «con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare il clan mafioso La Torre» nell’ambito di un’inchiesta sui fratelli Orsi, due imprenditori casertani diventati i re dei rifiuti grazie al legame con la camorra e alle relazioni politiche a destra e sinistra. Contro Landolfi gli investigatori hanno raccolto molte dichiarazioni. 
Al centro di tutto ci sono i posti di lavoro. Quando i politici chiedevano, il contratto doveva spuntare fuori a tutti i costi. Spiega Michele Orsi: “Circa il 70 per cento delle assunzioni poi operate erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste da Landolfi, Valente [il presidente del consorzio comunale, nda] e Cosentino [il coordinatore regionale di Forza Italia, nda]... Molte delle assunzioni erano non solo inutili ma sostanzialmente fittizie, dato che questi non svolgevano alcuna attività”. Questi «favori» poi diventavano voti. Raffaele Chianese, capo della segretaria di Landolfi - arrestato nel dicembre del 2007 col segretario particolare dell’onorevole, Cosimo Chianese, per aver organizzato corsi professionali fantasma in cambio di 250 mila euro di finanziamenti dall’Unione europea  - raccomanda un uomo vicino alle cosche con
queste testuali parole: «Quello vale cento voti!». E Orsi replica promettendo il contratto: «Tieni presente che siamo vicini a te e Mario per queste elezioni. Qualunque cosa...». Risposta: «Grazie, a buon rendere». Spiega un pentito: “Quasi tutte le persone che a Mondragone lavorano per la nettezza urbana sono state raccomandate dal clan. Qualunque iniziativa volessero prendere i
lavoratori dovevano concordarla con il clan, compreso l’iscrizione al sindacato o iniziative di protesta. Mi risulta che nel corso degli anni sono stati organizzati dalla cosca vari pranzi elettorali per cercare di far votare tutti i dipendenti della nettezza urbana per una certa persona… Per le ultime politiche è stato organizzato un rinfresco a favore di Landolfi a cui pure hanno partecipato tutti i dipendenti della nettezza urbana. In quest’ultima occasione il clan si è occupato soltanto di far andare tutti all’incontro”. I consorzi che gestiscono i rifiuti sono espressione diretta dei partiti. Lo racconta Giuseppe Valente, numero uno della società mista che si occupa di pulire diciotto comuni sul litorale Domiziano, che dopo l’arresto ammette di avere «assunto la presidenza quale incarico squisitamente politico, previa intesa con i referenti politici, i parlamentari Landolfi, Cosentino e
Coronella [senatore e leader provinciale di An, nda]». Ma non si tratta di semplice lottizzazione. Dietro i consorzi oltre che la
politica c’è pure la camorra. Chianese, il «portaborse » di Landolfi, dice al telefono che prima nella società della nettezza urbana «c’erano ventidue assunti ma dieci erano camorristi. Non lavoravano, si pigliavano solo lo stipendio». Il seguito dell’intercettazione è anche peggiore: «Quanti ce ne possono servire per pulire Mondragone? Trentacinque a esagerare. Invece ora ce ne stanno 86, chi li deve pagare?». Lo Stato però davanti al dilagare della camorra sembra inerte. Dalla Prefettura di Caserta – dicono gli atti della Procura – le informative di polizia arrivavano direttamente nelle mani sbagliate. E se si cercava di applicare le misure minime di legge, come l’obbligo di certificato antimafia per gli appalti, c’era sempre un parlamentare pronto a trovare una scorciatoia. Spiega ancora Orsi: “Quanto alle mie richieste rivolte ai politici di interessarsi per il rilascio della certificazione antimafia, faccio presente che sollecitai direttamente l’onorevole Cosentino e – tramite Valente – Mario Landolfi. Cosentino mi diede assicurazioni sul fatto che si sarebbe interessato: ricordo che questi ebbe a chiamare
telefonicamente, innanzi a me, il dottor Provolo [il vice-prefetto,  nda] con il quale prese un appuntamento per avere dei chiarimenti”. E Landolfi? “Chianese ci disse di aver ricevuto da Landolfi l’indicazione proveniente dalla Prefettura... sottolineando che grazie a lui Landolfi si era recato presso la Prefettura per perorare il rilascio della certificazione antimafia”.
Dagli atti spunta poi un dialogo sconcertante. Sergio Orsi, uno dei re dei rifiuti, si fa avanti offrendo «amicizia». E Chianese replica: «Mario i soldi se li può prendere solo da me, e non se li può prendere da nessun altro, quindi è inutile...». Poi precisa: «Lui soldi non ne piglia... Cioè, i soldi che danno per fare l’attività. Finanzia il partito... Io me ne avvantaggio dal partito, perché io prendo un incarico... e giustamente devo dare un contributo...». A quel punto il portaborse spiega: «Tu puoi partecipare... se tu devi prendere un appalto per un lavoro, anziché darlo ad un altro, lo dai a me... È un contributo anche questo...».
Lehner Giancarlo (FI):  Per alcuni suoi articoli, e in particolare per un  pamphlet calunnioso in cui accusava addirittura i
magistrati di Mani Pulite di «attentato a organo costituzionale»  (cioè a Berlusconi), un reato da ergastolo, Lehner è stato condannato per diffamazione dal Tribunale di Trento.  Martinat Ugo (An):  Indagato dal 2 maggio 2005 a Torino, nella sua veste di viceministro delle Infrastrutture, per turbativa d’asta e abuso in atti d’ufficio a proposito degli appalti per l’alta velocità ferroviaria Torino-Lione e per due strade costruite in vista delle Olimpiadi invernali di Torino 2006. Un rapporto della Dia, trasmesso dalla Guardia di finanza ai pm Francesco Saluzzo, Paolo Toso e Cesare Parodi, parla di intercettazioni e definisce Martinat «soggetto supervisore per l’aggiudicazione di varie gare d’appalto e per l’assegnazione di collaudi».
Matteoli Altero (An):  Imputato a Livorno per favoreggiamento verso l’ex prefetto di Livorno, che avrebbe avvertito di
indagini e intercettazioni in corso su uno scandalo di abusi  edilizi all’isola d’Elba, consentendo a lui e ad altri indagati di
inquinare le prove e di distruggere carte e addirittura computer, con gravi danni per le indagini. Il processo è iniziato il 20 ottobre 2006. Ma il 17 maggio 2007 la Camera l’ha bloccato (394 voti favorevoli, 2 contrari e 32 astenuti), sollevando un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato alla Corte Costituzionale contro il Tribunale dei ministri che, spogliandosi del caso in quanto Matteoli è accusato come comune cittadino e non come ex ministro, non ha ritenuto di chiedere alla Camera l’autorizzazione a procedere prevista per i ministri accusati di reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni. Così il processo, in attesa della Consulta, si ferma. 
Messina Alfredo (FI): Storico dirigente Fininvest e Mediaset, più volte indagato insieme al Cavaliere e ai suoi cari, ora è
vicepresidente di Mediolanum ed è sotto inchiesta a Milano (la Procura ha da poco depositato gli atti a fine indagini) per
favoreggiamento nella bancarotta fraudolenta dell’Hdc del sondaggista del Cavaliere, Luigi Crespi. Nel 2004 Crespi chiede a Mediaset di restituirgli 500 mila euro da lui anticipati a Telelombardia e Antenna3 per “risarcirli” del danno subìto dalla fornitura di programmi a Italia 7 Gold da parte di Mediaset. La richiesta, tramite Deborah Bergamini, viene inoltrata a Messina, che prende appuntamento per il 17 luglio con Paolo Del Bue, presidente della Arner Bank luganese, a cui chiede di “prepararmi una di quelle cose”. Cioè, verosimilmente, i contanti. Perché parte della somma – secondo la Guardia di Finanza -  dev’essere versata a Crespi in contanti a Lugano e in nero da Messina e dal suo avvocato, Giorgio Perroni. Il giorno della prevista trasferta in Svizzera, il 16 luglio 2004, gli investigatori milanesi – che intercettano i protagonisti – si preparano  a pedinarli a distanza. Messina va a prendere Perroni a Roma, dove incontra anche l’avvocato del Cavaliere, Niccolò Ghedini.
Poi però, mentre è già in viaggio verso Fiumicino, riceve una  telefonata da Palazzo Chigi: è Valentino Valentini, capo della
segreteria del premier Berlusconi. Che lo richiama indietro per “un documento da consegnare”. Messina torna indietro e subito disdice l’appuntamento con Del Bue. Qualcuno, evidentemente, ha fatto una soffiata sul pedinamento in corso. E la consegna “salta”. “Purtroppo – dice l’avvocato di Crespi, che segue la pratica, al sondaggista - “(Messina o Perroni, ndr) ha avuto un forte casino. Non è potuto andare dove doveva andare”. Messina è candidato Pdl al Senato in Lombardia. 
Nania Domenico (An): Arrestato per 10 giorni e poi condannato in via definitiva a 7 mesi per lesioni personali legate ad attività violente nei gruppi giovanili di estrema destra (fatti dell’ottobre ’69, sentenza emessa nel 1977 e divenuta definitiva nel 1980); condannato in primo grado per gli abusi edilizi nella sua villa di Barcellona Pozzo di Gotto e salvato in appello dalla prescrizione. Nemmeno il condono edilizio varato dal governo Berlusconi e votato anche da lui è riuscito a sanare la sua villa abusiva con piscina, costruita in spregio delle leggi urbanistiche (legge 47/1985, articolo 20) e anche di quelle antisismiche (legge 64/1974 sulla necessaria  autorizzazione del  Genio civile). Anche perché la sanatoria berlusconiana prevedeva il pagamento di una serie di oblazioni che Nania non ha versato  in tempo utile. Non male, per un ex sottosegretario ai Lavori pubblici.
Nessa Pasquale (FI):  Imputato a Bari per concussione, il 18 luglio 2005  scampa all’arresto nella sua città solo perché
parlamentare e dunque intoccabile. Invece  il suo presunto complice in una storia di presunte tangenti, l’ingegner Camillo Dell’Anno (dirigente del settore urbanistico del comune di Martina Franca), viene subito incarcerato con la stessa accusa. Sono entrambi accusati di essersi spartiti nel  dicembre 2003 una mazzetta di circa 100mila euro per un’autorizzazione edilizia, dall’Itacasa Immobiliare Srl, società che aveva chiesto di realizzare a Martina Franca un fabbricato per abitazioni civili e locali commerciali. Gli stessi amministratori della ditta denunciarono a suo tempo di essere stati costretti a pagare la tangente per ottenere le necessarie autorizzazioni dal comune. Il gip Fiore chiede al Senato l’autorizzazione ad arrestare anche Nessa, ma
non ha mai ricevuto risposta. Comunque la Procura ha chiesto il suo rinvio a giudizio.
Paravia Antonio (FI): Imprenditore ed ex presidente di Assindustria a Salerno, viene arrestato nel 1995 per un giro di tangenti nella sanità a Napoli. Secondo il pm Nunzio Fragliasso, Paravia avrebbe versato quasi 100 milioni di lire a funzionari e dirigenti di una Usl per l’appalto del servizio di ascensori e montacarichi. Ma il 16 dicembre 2004 è scattata la prescrizione.
Candidato Pdl per il Senato in Campania.  

Papa Alfonso (FI): Magistrato napoletano in aspettativa, vicecapo di gabinetto del ministero della Giustizia sotto i ministeri Castelli e Mastella, viene indagato dal Tribunale dei ministri di Roma per abuso d’ufficio patrimoniale per alcune consulenze “facili” insieme allo stesso castelli e ad altri dirigenti di Via Arenula. Ma si salva dal processo grazie al voto del Senato, che nel dicembre 2007 respinge la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del ministro leghista e dei suoi collaboratori, regalando l’immunità parlamentare anche a quelli che parlamentari non sono. Come, appunto, Papa. Che viene prontamente candidato dal Pdl in Campania. 
Pecorella Gaetano (FI):  Imputato a Brescia per favoreggiamento nelle stragi di piazza Fontana e piazza della Loggia: nel 2007, dopo cinque anni di indagini, la Procura ha chiesto il suo rinvio a giudizio con l’accusa di aver corrotto un pentito di Ordine nuovo, Martino Siciliano, testimone-chiave nei processi per  le due stragi nere, perché ritrattasse le sue accuse contro Delfo Zorzi, cliente di Pecorella, indicato come l’autore  materiale del primo eccidio e coinvolto anche nel secondo. Ad accusare Pecorella è lo stesso Siciliano, il quale sostiene che  Zorzi gli avrebbe versato 115 mila dollari tramite il suo ex difensore Fausto Maniaci, dopo un presunto accordo con Pecorella, legale di Zorzi (all’epoca latitante in Giappone). Siciliano viene arrestato il 10 giugno 2002 con l’accusa di aver intascato 5.000 dollari – primo anticipo dei «500mila promessi» – in cambio della ritrattazione.
Pittelli Giancarlo (FI):  Indagato a Catanzaro per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e “appartenenza a
loggia massonica segreta o struttura similare” e a Salerno per rivelazione di segreto, diffamazione e calunnia nei confronti del pm De Magistris, e pare anche per corruzione giudiziaria. L’indagine a suo carico è quella denominata «Poseidone» e avviata da De Magistris sui finanziamenti europei milionari per alcuni depuratori mai realizzati in Calabria. Pittelli, oltre a essere l’avvocato difensore di numerosi indagati, viene inquisito lui stesso quando il magistrato trova traccia di un suo versamento di 100 mila euro sui conti di Fabio Schettini, segretario del commissario europeo Franco Frattini (FI), anche lui sotto inchiesta insieme a decine di altri politici, imprenditori, amministratori e professionisti. Ma l’inchiesta viene tolta al pm titolare dal suo capo, Mariano Lombardi, amico intimo di Pittelli (il figliastro del procuratore è socio in affari del sen. avv.) e alla fine la Procura chiede l’archiviazione per Pittelli. Il quale però rimane indagato a Catanzaro.
Proietti Cosimi Francesco (An): Indagato a Potenza e poi a Roma per corruzione, ha visto la sua posizione finire in archivio, ma solo in parte. Nel 2006 viene coinvolto nello scandalo degli affari sporchi intorno al casinò di Campione d’Italia che porta all’arresto a Potenza di Vittorio Emanuele di Savoia e del portavoce di Fini, Salvatore Sottile. Il suo ruolo – secondo il gip Alberto Iannuzzi, che firma le ordinanze di custodia cautelare – sarebbe quello di intermediario per affari milionari fra il clan del «principe» e i Monopoli di Stato. Lo scandalo infatti nasce dai nullaosta emessi dai Monopoli per legalizzare i videogiochi illegali. Il signor Savoia si rivolge al faccendiere Achille De Luca, che contatta un commercialista romano amico di Sottile. E Sottile coinvolge Proietti Cosimi, il quale a sua volta raggiunge due dirigenti dei Monopoli per mandare in porto l’affare. De Luca consegna le mazzette negli uffici dei Monopoli e poco dopo arrivano ben quattrocento nullaosta. Secondo il gip, il segretario di Fini gestisce «un potere enorme» e lo usa come «un utile e infallibile strumento per perseguire e realizzare il proprio tornaconto». Ma i giudici di Roma archiviano tutto. In un altro filone d’inchiesta, il gip potentino raccomandava alla
Procura capitolina di scandagliare «gli affari gestiti in comune da Francesco Proietti Cosimi e Daniela Di Sotto», la moglie di
Fini, perché «meritano un sicuro, ulteriore approfondimento investigativo». L’uomo e la donna avrebbero intrecciato una «fitta rete di affari, a tratti poco chiari (...), fondamentalmente incentrati sui proventi derivanti dalle gestione di due strutture sanitarie private, Panigea ed Emmerre, la prima delle quali offre prestazioni anche in regime di convenzione col Servizio sanitario nazionale». In una telefonata intercettata, Francesco e Daniela parlano dell’«interessamento» della signora Fini presso l’allora governatore del Lazio, Storace, «affinché il poliambulatorio Panigea operasse in regime di convenzione l’esecuzione di esami clinici (tac e risonanza magnetica) particolarmente costosi». Su questa vicenda, l’inchiesta è ancora in corso a Roma.  Russo Paolo (FI): Ex presidente della commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti in Campania, è stato indagato dalla Dda di Napoli per concorso esterno in associazione mafiosa, nell’ambito di indagini sulla camorra del Nolano per i suoi rapporti con un imprenditore vicino, secondo gli inquirenti, ai clan della zona. Ma alla fine la Procura ha chiesto l’archiviazione, almeno per questa accusa. Russo resta però indagato nello stesso procedimento per violazione della legge elettorale. Candidato Pdl alla Camera in Campania. 
Scapagnini Umberto (FI): Il 26 ottobre 2007 il pm catanese Francesco Puleio ha chiesto la sua condanna a 2 anni e 10 mesi di reclusione per abuso d’ufficio e violazione della legge elettorale. Tre giorni prima delle comunali del 2005, Scapagnini e la sua giunta approvarono due delibere con cui si sospendeva la riscossione dei contributi previdenziali dalle buste paga dei 4000 dipendenti del municipio. La scelta, ufficialmente giustificata come un risarcimento per i danni subiti dai lavoratori a causa di un’eruzione dell’Etna che aveva ricoperto la città di cenere nera, aveva fatto sì che i dipendenti si fossero trovati in busta paga somme varianti tra i 300 e i 1000 euro che ora dovranno essere restituiti a rate senza interessi in undici anni. Scapagnini è pure
indagato a Catania per abuso d’ufficio aggravato per i parcheggi sotterranei in costruzione nella città etnea.
Scelli Maurizio (FI):  ex commissario straordinario della Croce rossa italiana, già fondatore del partito centrista “Italia di
nuovo” (“Né con Prodi né con Berlusconi”, 2006), sospettato di aver intermediato il riscatto per la liberazione di alcuni ostaggi in Irak, per esempio le “due Simone”, è accusato dalla Procura militare di Roma e dalla Corte dei Conti di aver dirottato verso altre destinazioni 17 milioni di euro destinati alla missione “Antica Babilonia” a Nassiriya “per interventi urgenti a favore della popolazione irakena”. Che fine han fatto tutti quei quattrini sborsati dallo Stato tramite i ministeri degli Esteri e della Difesa per alcuni ospedali da campo in Irak? Sarebbero stati - secondo l’accusa – “distratti per esigenze economiche interne alla Croce rossa italiana” fra il 2003 e il 2006, invece di essere restituiti al governo. Di più:  quando partì l’inchiesta, i vertici della Cri avrebbero tentato di nascondere la verità con “comunicazioni incomplete o non veritiere sulla effettiva utilizzazione del contributo”. Scelli è candidato del Pdl alla Camera in Abruzzo.  
Sciascia Salvatore (FI):  Condannato definitivamente a 2 anni e 6 mesi per aver corrotto, nella sua qualità di manager
Fininvest (capo dei servizi fiscali del gruppo Berlusconi), alcuni ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza affinchè
ammorbidissero le verifiche fiscali. L’inchiesta è quella aperta dal pool Mani Pulite nella primavera del 1994, in seguito alle
confessioni di alcuni finanzieri a proposito di quattro tangenti da circa 100 milioni di lire ciascuna pagate dal gruppo Fininvest perché chiudessero gli occhi nei blitz tributari nelle società Mediolanum, Mondadori ed Edilnord.
Simeoni Giorgio (FI): Indagato a Roma per associazione per delinquere e corruzione nello scandalo delle tangenti sulla sanità nel lazio nato dalle confessioni di “Lady Asl”, per aver «usato il suo ruolo per appropriarsi di denaro pubblico in modo reiterato» e di aver pure inquinato le prove, nel 2006 s’è salvato dall’arresto perché la Camera ha respinto la richiesta dei giudici.
Speciale Roberto (FI): Ex comandante generale della Guardia di Finanza, è indagato dalla Procura militare di Roma per il presunto utilizzo privato di mezzi della GdF. Il procuratore militare Antonino Intelisano ha tra l’altro acquisito un filmato delle
Fiamme Gialle, girato in una fredda mattina del febbraio 2005 a Passo Rolle, in Trentino Alto Adige, che documenta come
Speciale portò in montagna parenti e amici per una festa, utilizzando un Atr 42 a turboelica del Corpo, destinato al contrasto del contrabbando e alle missioni umanitarie. La festa si sarebbe dovuta concludere con una mangiata di pesce fresco, trasportato in casse caricate all’aeroporto di Pratica di Mare e spedite con volo militare. Spigole mai arrivate, ma solo per colpa del maltempo. Un altro capitolo dell’indagine riguarda l’utilizzo dei fondi riservati della Guardia di finanza da parte del
generale. Speciale si difende così: «Come ogni anno ci siamo recati a Passo Rolle per chiudere le gare invernali della Guardia di finanza, una cerimonia alla quale faceva da madrina come da prassi la moglie del comandante generale». Ma, stando a quanto scritto dai giornali, la Procura militare ha accertato che l’ex comandante Speciale ha utilizzato l’Atr 42 in dotazione al Corpo in occasione di almeno 45 week-end e che l’aereo, per suo ordine e a spese delle Fiamme gialle, era stato «riconfigurato» negli hangar dell’aeroporto militare di Pratica di Mare, in modo da ospitare poltrone «business» per almeno otto passeggeri. Costo per le casse dello Stato: 3.885,91 euro l’ora. Anche per questo la Procura della Corte dei Conti ha avviato nei confronti del generale un procedimento di responsabilità per il danno erariale procurato dai suoi viaggi a scrocco al Passo Rolle, chiedendogli il conto per almeno 32 mila euro di gite aviotrasportate con spigole d’alta quota, più il danno
d’immagine per il corpo delle Fiamme Gialle. Ironia della sorte: la Procura della Corte dei Conti è proprio l’ufficio dove il governo Prodi avrebbe voluto dirottare il generale Speciale, dopo la rimozione da comando generale della Guardia di finanza.  Tomassini Antonio (FI): Medico chirurgo, amico personale di Silvio Berlusconi, è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione a 3 anni di reclusione per falso. Durante un parto, una bambina sua paziente nacque cerebrolesa, ma lui contraffece e soppresse il partogramma. Nel 2001 Forza Italia lo candidò subito al Parlamento e lo nominò responsabile per la Sanità del
partito e presidente commissione Sanità del Senato. Nell’ultima legislatura era membro della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficienza del sistema sanitario nazionale.  Tortoli Roberto (FI):  Indagato dalla Procura di Arezzo per concorso in estorsione in uno scandalo che ruota intorno alla costruzione di una multisala cinematografica ad Arezzo.  Valentino Giuseppe (An): Indagato nel 2004 dalla Dda di Catanzaro per i suoi presunti rapporti con l’avvocato Paolo Romeo, condannato per la sua appartenenza alla ‘ndrangheta, ha visto la sua posizione finire in archivio. Ma è tuttoggi indagato a Roma per favoreggiamento perché sospettato di aver rivelato  a Stefano Ricucci le intercettazioni telefoniche in corso sulle scalate a Bnl, Antonveneta e Corriere nell’estate del 2005.
Vizzini Carlo (FI): Condannato in primo grado a 10 mesi e salvato dalla prescrizione in appello per il finanziamento illecito di 300 milioni di lire dalla maxitangente Enimont; assolto dal Tribunale dei ministri di Roma dall’accusa di aver preso tangenti quand’era ministro socialdemocratico delle Poste. 
 
Lega Nord


Bossi Umberto: Condannato in via definitiva a 8 mesi di reclusione per 200 milioni di finanziamento illecito dalla
maxitangente Enimont; condannato in via definitiva per istigazione a delinquere e per oltraggio alla bandiera; indagato e imputato in altri procedimenti penali. Il 16 dicembre 1999 la Cassazione l’ha condannato a 1 anno per istigazione a delinquere, per aver incitato i suoi, in due comizi a Bergamo nel 1995, a «individuare i fascisti casa per casa per cacciarli dal Nord anche con la violenza». Tremaglia, suo futuro collega ministro, l’aveva denunciato. Altra condanna definitiva nel 2007 a 1 anno e 4 mesi (poi commutati in 3.000 euro di multa, interamente coperti da indulto) per vilipendio alla bandiera italiana, per aver
dichiarato nel 1997: «Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo». Niente sospensione
condizionale della pena, che però è coperta da indulto (che cancella anche quelle pecunarie fino a 10 mila euro): insomma, Bossi non pagherà nemmeno un euro. Inoltre ha un altro processo in corso per lo stesso reato, per aver detto, sempre nel 1997, durante un comizio: «Il tricolore lo metta al cesso, signora... Ho ordinato un camion di carta igienica tricolore personalmente, visto che è un magistrato che dice che non posso avere la carta igienica tricolore». Nel 2002 la Camera ha negato ai giudici l’autorizzazione a procedere, ritenendo le espressioni rientranti nella libera attività parlamentare e dunque coperte da insindacabilità; ma nel 2006 la Consulta ha annullato la delibera di Montecitorio, disponendo che Bossi sia processato come un
comune cittadino. Il Senatùr è invece uscito indenne dal lungo processo per resistenza a pubblico ufficiale, in seguito agli scontri con la polizia che perquisiva, il 18 settembre ’96, la sede leghista di via Bellerio a Milano: condannato a 7 mesi in primo grado e a 4 in appello, Bossi s’è visto annullare con rinvio la seconda condanna dalla Cassazione, che ha disposto un nuovo processo d’appello. E qui, nel 2007, è stato assolto. Ancora aperto, invece, il processo di Verona per le camicie verdi della cosiddetta Guardia nazionale padana costituita nel 1996: Bossi, con altri quarantaquattro dirigenti leghisti, deve rispondere in udienza preliminare di attentato alla Costituzione e all’unità dello Stato, nonché di aver costituito una struttura paramilitare fuorilegge. Ma, almeno in questo caso, rischia poco o nulla: allo scadere dell’ultima legislatura, la maggioranza di centrodestra ha riformato i primi due reati (punibili ora solo in presenza di atti violenti), in modo da assicurarne la decadenza al
processo di Verona. L’ennesima legge ad personam. Una volta tanto non per il Cavaliere, ma per il Senatùr. Il procuratore di Verona Guido Papalia, però, tiene duro sull’accusa residua di  associazione paramilitare. Allora, nel 2007 la Camera regala
l’insindacabilità ai deputati imputati, tra i quali Bossi, Calderoli e Maroni, quasi che la Guardia Padana fosse un’«opinione». A quel punto Papalia ricorre nuovamente alla Consulta con un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, come ha già fatto contro un analogo provvedimento impunitario adottato dal Senato per salvare Gnutti e Speroni. 
Bragantini Matteo: Nel 2004 è stato condannato in primo grado a 6 mesi di carcere e a 3 anni d'interdizione dall'attività
politica, per istigazione all’odio  razziale e propaganda di idee razziste. Nell’agosto-settembre 2001 la Lega Nord di Verona
aveva organizzato una campagna (“Firma anche tu per mandare via gli zingari dalla nostra città”) contro la comunità Sinta di Verona. Nelle motivazioni, i giudici di primo grado scrivono che Bragantini e i suoi 6 coimputati, fra i quali l’attuale sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, hanno “diffuso idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale ed etnico e incitato i pubblici amministratori competenti a commettere atti di discriminazione per motivi razziali ed etnici e conseguentemente creato… un concreto turbamento alla coesistenza pacifica dei vari gruppi etnici nel contesto sociale al quale il messaggio era indirizzato”.
Il 30 gennaio 2007, la Corte d’appello di Venezia riduce la pena da 6 a 2 mesi, assolvendo i leghisti dall'istigazione all'odio razziale, confermando la condanna per la propaganda razzista e i risarcimenti ai sette Sinti (2500 euro per ciascuno) e all’ente
morale Opera Nomadi (8 mila euro), costituitisi parte civile. Bragantini è ricandidato alla Camera per la Lega Nord nel
Veneto1. Calderoli Roberto:  Indagato a Milano per ricettazione nell’inchiesta sulla Bpl di Giampiero Fiorani. Il quale sostiene di averlo foraggiato per garantirsi l’appoggio politico della Lega durante il suo tentativo di scalata alla Banca Antonveneta: con il suo sottosegretario Brancher, l’allora ministro delle Riforme  si sarebbe spartito 200mila euro. Salvo per prescrizione nel
processo per i tafferugli con la polizia nella sede leghista di via Bellerio a Milano (resistenza a pubblico ufficiale), Calderoli è scampato al processo in corso a Verona per le camicie verdi (attentato alla Costituzione e all’unità dello Stato, struttura paramilitare fuorilegge) grazie a una legge ad personam e all’insindacabilità regalatagli dal Senato (contro cui però la Procura ricorrerà alla Consulta).
Caparini Davide: Salvo per prescrizione nel processo per resistenza a pubblico ufficiale nel processo sui tafferugli con la polizia durante una perquisizione nella sede leghista di via Bellerio a Milano.
Castelli Roberto: Indagato per abuso d’ufficio patrimoniale per alcune consulenze facili al ministero della Giustizia durante il
secondo governo Berlusconi, s’è salvato grazie al voto del Senato, che nel dicembre 2007 gli ha regalato l’immunità totale per i suoi presunti reati ministeriali, negando l’autorizzazione a procedere chiesta dal Tribunale dei ministri di Roma. Per gli stessi fatti la Corte dei Conti l’ha condannato a rimborsare un danno erariale di 98.876,96 euro e gliene ha contestato un altro di circa 400 mila euro.
Maroni Roberto: Condannato definitivamente a 4 mesi e 20 giorni di reclusione per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, in relazione ai tafferugli durante la perquisizione della sede leghista di via Bellerio a Milano. Maroni, prima di finire in ospedale con il naso rotto, avrebbe tentato di mordere la caviglia di un agente di polizia. Di qui la condanna a 8 mesi in primo grado, poi dimezzata in appello e in Cassazione. Maroni è anche imputato a Verona come ex capo delle camicie verdi, insieme a una quarantina di dirigenti leghisti, con le accuse di attentato contro la Costituzione e l’integrità dello Stato e creazione di
struttura paramilitare fuorilegge. Ma i primi due reati sono stati ampiamente ridimensionati da una riforma legislativa ad hoc, varata dal centrodestra nel 2005, allo scadere della penultima legislatura. Resta in piedi solo il terzo.
Stefani Stefano:  Indagato a Roma per concorso in truffa ai danni dello Stato e riciclaggio, ha ottenuto la richiesta
d’archiviazione del procedimento perché la Procura non ha potuto usare le intercettazioni indirette che facevano sospettare qualcosa di poco chiaro nella vicenda dei finanziamenti pubblici al quotidiano «Il Giornale d’Italia». In pratica, come molti suoi colleghi parlamentari, anche Stefani è un miracolato dalla legge Boato che – prima della sentenza della Consulta del 2007 – rendeva inutilizzabili le intercettazioni in cui compariva la voce di un eletto dal popolo. 
 
Udc-Rosa Bianca
 
Cesa Lorenzo: Arrestato nel 1993, rinviato a giudizio, condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi per corruzione aggravata nello scandalo Anas (mazzette per 30 miliardi di lire) e poi salvato da un cavillo insieme al coimputato Prandini (condannato in primo grado a 6 anni e 4 mesi): nel 2003, la Corte d’appello di Roma si è resa conto che il Tribunale dei ministri che aveva rinviato a giudizio i protagonisti dello scandalo Anas non poteva svolgere funzione di gup. Così il processo è ritornato al punto di partenza e tutto è finito in prescrizione, perché gli atti sono stati poi giudicati inutilizzabili. Ma dal 2006 il segretario dell’Udc è di nuovo indagato per iniziativa dei pm di Catanzaro Luigi De Magistris e Isabella De Angelis, che lo accusano di truffa per «per avere ottenuto illecita erogazione di circa 5 miliardi di lire» dalla Ue e dalla Regione Calabria. Secondo l’accusa
Cesa, assieme al consigliere di amministrazione Anas Giovanbattista Papello e Fabio Schettini (ex capo della segreteria del commissario europeo Franco Frattini), avrebbe messo in piedi una società, la Spb Optical Disk Srl, solo per ricevere contributi comunitari in teoria destinati alla produzione di cd e di altro materiale informatico. Dopo che l’inchiesta viene tolta a De Magistris, la Procura chiede l’archiviazione della posizione di Cesa e di altri indagati. 
Cuffaro Salvatore: Condannato a 5 anni dal Tribunale di Palermo nel gennaio 2008 per favoreggiamento aggravato di alcuni mafiosi (che avrebbe avvertito di indagini e intercettazioni a loro carico, vanificando il lavoro degli investigatori); indagato per concorso esterno in associazione mafiosa in un fascicolo pendente presso la Dda di Palermo.  
Mannino Calogero: Arrestato nel febbraio 1995 e tuttoggi imputato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo la Procura di Palermo, avrebbe stretto un patto con Cosa nostra per avere voti in cambio di favori. Assolto in primo grado nel 2001, tre anni dopo viene condannato in appello a 5 anni e 4 mesi. La sentenza viene però annullata, per difetto di motivazione, dalla Cassazione, che ordina un nuovo processo di appello, tuttora in corso. Nel 2007 la Procura di Marsala ha chiesto il rinvio a giudizio di Mannino e  di altre sedici persone imputate, a vario titolo, di associazione a delinquere,
appropriazione indebita, frode in commercio, vendita di sostanze alimentari non genuine, falso ideologico e truffa aggravata.
Secondo gli inquirenti Mannino, dominus di fatto dell’azienda vinicola di Pantelleria «Abraxas srl» (di cui il figlio è socio di
maggioranza), insieme ai soci e a Luciano Parrinello (funzionario dell’Istituto della Vite e del Vino di Marsala), avrebbero messo in commercio come genuini vini doc prodotti in violazione del disciplinare di produzione previsto per il moscato di Pantelleria. 
Naro Giuseppe: Condannato in primo grado a 3 anni e in Cassazione a 6 mesi definitivi di reclusione (erano 3 anni in primo grado) per abuso d’ufficio nel processo per l’acquisto con denaro pubblico di 462 ingrandimenti fotografici, alla modica cifra di 800 milioni di lire. Due prescrizioni hanno invece cancellato le accuse mosse contro di lui nell’inchiesta sulla Tangentopoli messinese (primo grado: condanna a 1 anno e mezzo) e in quella per le spese folli di Taormina Arte (peculato). Assoluzione piena per un altro abuso d’ufficio che aveva spinto la magistratura ad arrestarlo. 
Romano Francesco Saverio:  Indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa con l’accusa di aver accompagnato il suo leader, Salvatore Cuffaro, a incontrare alcuni esponenti di Cosa nostra, ha ottenuto l’archiviazione nel
2003 per il caso Guttadauro-Cuffaro; ma dall’inizio del 2006 è stato di nuovo inquisito dalla Dda palermitana per concorso
esterno, dopo le rivelazioni del pentito Francesco Campanella a proposito di altri presunti summit con mafiosi. 
 Partito democratico
 
Benvenuto Romolo: Ex Margherita, condannato in primo grado nel 1999 a 140 mila lire di ammenda per percosse all’ex convivente. I fatti risalgono alla metà degli anni Novanta. Il legame fra i due si era ormai deteriorato. L’uomo politico pensò bene di concluderlo a ceffoni. La donna lo denunciò e ne ottenne la condanna. In appello, poi, Benvenuto chiese scusa e risarcì il danno, ottenendo la rimessione di querela, il «non luogo a procedere» e l’estinzione del reato. 
Carra Enzo: Ex Dc ed ex Margherita, condannato in via definitiva a 1 anno e 4 mesi per false dichiarazioni al pubblico
ministero. Per i giudici, Carra è un falso testimone che, con il suo «comportamento omertoso» e la sua «grave condotta
antigiuridica», ha giurato il falso dinanzi al pool di Milano nel 1993, tentando di «assicurare l’impunità a colpevoli di
corruzione, falso in bilancio e finanziamento illecito» nella maxitangente Enimont. 
Castagnetti Pierluigi: Ex Dc ed ex Margherita, ha una prescrizione per corruzione. Il 5 dicembre 2002 il pm di Ancona Paolo Gubinelli ha chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione, accusandolo di aver ricevuto una tangente di 15 milioni di lire nel 1991-92 dall’imprenditore anconetano Luigi Marrino in cambio del decreto di concessione dell’Istituto vendite giudiziarie.
Secondo l’accusa, Castagnetti – all’epoca capo della segreteria politica del segretario  Dc Mino Martinazzoli – avrebbe accettato quel denaro «per compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio rivestito» nell’interesse non solo di Marrino, ma anche di un monsignore di Reggio Emilia, Pietro Iotti, che aspirava a ottenere una quota dell’Ivg. Ma il 15 aprile 2003 il gup Sante Bascucci gli concede le attenuanti generiche e dichiara così prescritto il reato.
Crisafulli Vladimiro: Ex Ds, ha visto finire in archivio l’indagine a suo carico per concorso esterno in associazione mafiosa
alla Procura di Caltanissetta, nata dal del filmato dei carabinieri che lo ritraeva in un hotel di Pergusa mentre abbracciava e baciava il boss di Enna, Raffaele Bevilacqua, e discuteva con lui di appalti pubblici, assunzioni e favori vari; in un’altra indagine, aperta per rivelazione di segreti d’ufficio dalla Procura di Messina, la sua posizione è stata stralciata con richiesta di archiviazione al gip, che non s’è ancora pronunciato.
D’Alema Massimo: Ex Ds, s’è salvato per prescrizione del reato (accertato) di finanziamento illecito nel processo a proposito di 20 milioni di lire in nero versatigli nel corso di una cena, negli anni 80, dal boss delle cliniche Francesco Cavallari, legato alla Sacra corona unita; ha poi avuto un’archiviazione a Reggio Emilia per i presunti fondi neri incamerati dal Pci-Pds; archiviata a Roma anche l’inchiesta per finanziamento illecito nata a Venezia, che lo vedeva indagato con Achille Occhetto e con Bettino Craxi; a Parma invece, dove Calisto Tanzi sosteneva di averlo finanziato con inserzioni pubblicitarie sulla rivista della sua fondazione Italianieuropei, D’Alema è rimasto un semplice testimone; infine la Procura di Milano sta ancora
vagliando la sua posizione nell’ambito delle indagini sulla scalata dell’Unipol alla Bnl di Consorte nell’estate del 2005: il gip Clementina Forleo, che ipotizzava un suo concorso nell’aggiotaggio di Consorte, ha trasmesso gli atti alla Procura, sostenendo che non è necessario il permesso del Parlamento europeo per usare nei suoi confronti le famose intercettazioni telefoniche.
Gozi Sandro: Fedelissimo di Romano Prodi, è indagato – secondo «Panorama» – per associazione per delinquere, truffa e violazione della legge Anselmi sulle logge segrete dalla Procura di Catanzaro, nell’ambito dell’inchiesta «Why Not» sui fondi pubblici succhiati da consulenze fittizie e società create da politici calabresi (e non) di destra e di sinistra. «Why Not» è una società di lavoro interinale (appartenente  al consorzio Clic) che fa capo al ciellino Antonio Saladino, leader calabrese della
Compagnia delle Opere, che nel 2006 avrebbe promesso e forse anche raccolto voti per il centrosinistra. 
Laganà Fortugno Maria Grazia: Ex Margherita, la vedova di Franco Fortugno – il medico e vicepresidente del Consiglio
regionale calabrese assassinato in un agguato mafioso il 16 ottobre 2005 davanti al seggio dove si vota per le primarie
dell’Unione – è indagata in una delle inchieste della Procura di Reggio Calabria sulla malasanità nell’ospedale di Locri, dove il marito era primario in aspettativa e la signora vicedirettrice sanitaria. Ipotesi di reato: truffa ai danni dello Stato, per presunte forniture sanitarie irregolari. 
Latorre Nicola:  Ex Ds, è stato indagato a Potenza per favoreggiamento, poi ha visto la sua posizione finire in archivio: ascoltando alcune telefonate di un gruppo di uomini d’affari  in rapporti con lui e con l’ex presidente del Perugia Calcio, Luciano Gaucci, i magistrati avevano ipotizzato che fosse stato Latorre ad avvertire l’imprenditore dell’indagine a suo carico.
Altre intercettazioni telefoniche l’hanno portato Latorre a un passo dal finire indagato a Milano per le scalate bancarie dei
furbetti del quartierino. La sua voce è stata infatti registrata più volte, mentre discuteva con il numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, dell’assalto alla Bnl, e addirittura con Stefano Ricucci, impegnato nella scalata al Corriere. Il gip Forleo, quando si è trattato di trasmettere le conversazioni al Parlamento per ottenere l’autorizzazione al loro utilizzo, ha scritto che almeno otto telefonate di Latorre (e D’Alema) attestano «i ruoli attivi ricoperti» nella scalata Unipol a Bnl, «contrassegnati all’evidenza da consapevole contributo causale» all’aggiotaggio addebitato a Consorte. Ora la sua posizione è al vaglio della Procura di Milano, a cui il gip Forleo ha trasmesso gli atti, dopo che il Senato ha negato l’ok all’uso delle intercettazioni a suo carico.
Lolli Giovanni: Ex Ds, è imputato in udienza preliminare a Bari per favoreggiamento nell’inchiesta sui presunti abusi della Missione Arcobaleno. Nel 1999 il governo D’Alema lancia l’operazione umanitaria «Arcobaleno» per sostenere i profughi kosovari fuggiti in Albania durante la guerra civile. Secondo l’accusa, durante e dopo la Missione, la Protezione civile allora presieduta da Franco Barberi, grazie a una fitta rete di complicità e amicizie con «esponenti apicali della politica», mise in piedi una «associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la Pubblica amministrazione» (peculato, concussione, corruzione, abuso d’ufficio) e «ogni altro reato  necessario o utile per i perseguimento degli scopi illeciti». In pratica la magistratura ritiene di aver scoperto enormi ruberie, tangenti e dirottamenti degli ingenti fondi pubblici stanziati per i profughi, ma in realtà rimasti in Italia. Per questo la Procura barese ha chiesto nel febbraio del 2007 il rinvio a giudizio di 26
persone, a cominciare da Barberi, giù giù  fino a Lolli. Nel 1999, quand’era responsabile nazionale Associazionismo e Sport dei Ds, Lolli avrebbe informato due indagati che il loro telefono era sotto controllo, facendo così saltare gli accertamenti in corso da parte degli investigatori. Di qui l’accusa di favoreggiamento. L’udienza preliminare è in corso dal 10 maggio 2007. I
reati, a tale distanza dai fatti (l’indagine partì nel gennaio del 2000), rischiano la prescrizione.  Lusetti Renzo: Ex Dc, ex Margherita, già pupillo di De Mita, già assessore a Roma nella giunta Rutelli, in quest’ultima veste nel 2001 è stato condannato dalla Corte dei conti a risarcire il Comune di Roma oltre 2 miliardi di lire per consulenze ingiustificate. In appello l’importo è stato ridotto di un quinto. 
Margiotta Salvatore: Ex Margherita, è indagato a Potenza per falso ideologico e a Catanzaro, secondo l’Ansa, per abuso
d’ufficio. La prima inchiesta è condotta dal pm Henry John Woodcock, che nel luglio del 2006 ha proposto al gip Alberto
Iannuzzi di chiedere alla Camera l’autorizzazione a utilizzare  conversazioni telefoniche in  cui compare anche la voce di
Margiotta. Il caso – dov’è indagata anche la signora Margiotta, cioè il capo della Mobile di Potenza, Luisa Fasano, per abuso d’ufficio – nasce dalle indagini che il 6 maggio 2006 portarono all’arresto del faccendiere Massimo Pizza, accusato di aver messo in piedi un’organizzazione specializzata in grosse truffe ai danni di imprenditori. Dalle intercettazioni telefoniche saltò fuori che Fasano e Margiotta parlavano di una contravvenzione per eccesso di velocità fatta all’autista del deputato e, secondo l’accusa, si interessavano per farla annullare. Margiotta avrebbe addirittura stilato una dichiarazione ufficiale, su carta intestata della Camera dei Deputati, per attestare che il suo autista correva perché lui doveva assolutamente arrivare in tempo a una riunione con un importante ministro della Margherita. Di qui l’accusa di falso ideologico. Ma dalle conversazioni della Fasano – sia con il marito, sia con altre persone – emergerebbe anche una fitta rete di rapporti con uomini politici (soprattutto del centrosinistra), amministratori locali, alti magistrati di Potenza (in particolare il sostituto procuratore generale Gaetano
Bonomi) e uomini delle forze dell’ordine, finalizzati a interessi personali e di carriera. Di qui l’ipotesi di peculato e rivelazione
di segreto d’ufficio. L’inchiesta di Catanzaro, che riguarda anche i coniugi Margiotta, è quella denominata «Toghe lucane» e condotta dal pm Luigi De Magistris: l’episodio per cui sarebbe indagato Margiotta per abuso d’ufficio è il suo presunto ruolo nella nomina di Michele Cannizzaro (marito della pm potentina Felicia Genovese, indagata e trasferita a Roma) a direttore generale dell’ospedale San Carlo di Potenza. Nella stessa inchiesta è indagata certamente per abuso d’ufficio anche la moglie
Luisa Fasano, che il 7 giugno 2007 ha subito anche una perquisizione a casa e in ufficio: in quel momento si è appreso che è accusata di aver «influenzato» – dalla postazione privilegiata di capo della Mobile di Potenza – varie indagini aperte dalla Procura, «insabbiandone» alcune, ostacolando l’attività di magistrati e investigatori, operando per «non garantire il genuino andamento dei procedimenti», cercando di «influire sul loro  corretto andamento», «insabbiandone» alcuni e favorendo «il
ruolo politico del marito» deputato. Letta la notizia sull’Ansa, Margiotta ha smentito di essere sotto inchiesta («non mi risulta essere indagato e comunque che non ho ricevuto alcun avviso di garanzia»), confermando che invece lo è la sua signora.  Papania Antonio: Ex Margherita, il 24 gennaio 2002 ha patteggiato davanti al gip di Palermo una pena di 2 mesi e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio. La vicenda risale al 1998. Papania, all’epoca assessore regionale al Lavoro, venne coinvolto in un’inchiesta condotta dalla Procura di Palermo su una compravendita di posti di lavoro. Secondo i magistrati, alcuni esponenti di un sindacato, il Failea, avevano  promesso assunzioni a quindici ex detenuti in cerca di lavoro in cambio di somme di denaro che arrivavano fino a 3 milioni di lire. Per le assunzioni i sindacalisti si sarebbero rivolti a pubblici ufficiali e politici.
A Papania, che aveva dato lavoro a disoccupati privi dei titoli richiesti dalla legge, i pm avevano contestato il concorso esterno in associazione a delinquere e l’abuso d’ufficio. La prima accusa è stata però archiviata dal gip. Secondo gli investigatori, Papania era stato contattato dall’organizzazione, guidata da Francesco Paolo Alaimo, arrestato, per ottenere l’inserimento dei disoccupati. In un’intercettazione ambientale Alaimo parlava con un altro indagato di una percentuale del 3 per cento da pagare
a Papania solo quando fosse riuscito «a far traghettare i soldi gestiti dalla Regione a un’associazione costituita appositamente suggerita dal politico». Secondo Papania però non vi fu mai nessuna promessa di tangente. L’indagine ha riguardato piani di inserimento professionale, cantieri di lavoro, lavoratori socialmente utili, precari tante volte  scesi in piazza per sollecitare assunzioni, scatenando proteste con incidenti.  Rigoni Andrea: Ex Margherita, è stato condannato a 8 mesi di reclusione in primo grado per un abuso edilizio sul monte di Porto Azzurro, all’isola d’Elba, insieme alla madre, alla sorella e al direttore dei lavori. In appello, poi, si è salvato grazie allaprescrizione del reato.


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