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mercoledì 10 marzo 2010

Una bellissima Venere tatuata e Tattoo il film

Conferenza stampa con il regista Robert Schwentke e l’attrice Nadeshda Brennicke
Tattoo il Film/
Regia: Robert Schwentke
Soggetto e Sceneggiatura: Robert Schwentke
Fotografia: Jan Fehse
Montaggio: Peter Przygodda
Musiche: Martin Todsharow
Scenografia: Josef Sanktjohanser
Costumi: Peri de Bragança
Interpreti: August Diehl (Marc Schrader), Christian Redl (Minks), Nadeshda Brennicke (Maya Kroner), Johan Leysen (Frank Schoubya), Monika Bleibtreu (Roth), Gustav-Peter Wöhler (Scheck), Ilknur Bahadir (Meltem), Ingo Naujoks (Stefan Kreiner), Jasmin Schwiers (Marie Minks)
Produzione: Jan Hinter, Roman Kuhn
Origine: Germania, 2002, 107', v.o. tedesco, 35 mm
visto al Taormina BNL FilmFest 2002

Una Venere tatuata,illustrazione che acompagna il post
Non si può entrare nell’immaginario di quest’opera se non attraverso la superficie della pelle, solcata dalla varietà di segni, i tatuaggi, che indicano un piacere particolare. I segni appunto, e le immagini: questo rapporto può avvicinarci a una verità, per comprendere qualcosa di più su noi stessi, e lo spazio tempo che viviamo. Se esiste una storia dei segni che va dai geroglifici ai graffiti metropolitani, senza dubbio dalla diffusione di forme primitive di segni si potrebbe inferire un concetto, una tesi dimostrativa di qualcosa (anche se non sappiamo che cosa). Cesare Brandi affermava che la confusione di forme primitive e moderne di segni indica anche un malessere della società, poiché parte di questi segni non corrisponderebbe ad elementi autentici di espressione umana. I tatuaggi naturalmente fanno parte di questi segni o segnali. Cosa sono e cosa rappresentano? E perché esiste un commercio tra collezionisti disposti a scotennare le persone tatuate, quando alcuni di questi tatuaggi hanno raggiunto valori eccezionali? Questa perversione nel film ha invero caratteristiche di diffusione. Sembra coinvolgere anche il sistema di rappresentazione della storia, laddove sono mostrate con crudele sadismo crani spappolati dai proiettili, serie di cadaveri ai quali è capitato di tutto, per il solito famelico serial killer, dalle mutilazioni alla carbonizzazione. Fin quasi allo splatter, ma senza un filo di ironia. Pur riconoscendo la capacità della fotografia di creare un’atmosfera sempre gelida e priva di ogni calore umano, la totale mancanza di solidarietà tra i personaggi dà al film un tono assolutamente cupo ma che anche la sensazione di torturare la libertà dei protagonisti, i quali legnosamente si profilano come buffe marionette di un teatrino dell’orrore costruito a tavolino. Un orrore dell’anima che non riesce a instillarsi nel profondo delle coscienze, rimane racconto poliziesco brutale, dove la caccia al serial killer è sovente dispensatrice di oscene sequenze di gratuita ferocia.

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"Rifiutare di avere opinioni è un modo per non averle. Non è vero?" Luigi Pirandello (1867-1936)