ROSARNO (REGGIO CALABRIA) - Alta tensione stamane a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, dopo i disordini di ieri quando gli immigrati hanno dato vita ad una guerriglia urbana dopo che due di loro sono stati feriti da sconosciuti con alcuni colpi di carabina ad aria compressa. Migliaia di extracomunitari si sono radunati per le strade e nella piazza del comune. Un abitante ha sparato in aria. Un gruppo di immigrati è venuto a contatto con un centinaio di abitanti. E' di 34 feriti il bilancio dei disordini scoppiati ieri. Arrestati sette extracomunitari. La Cgil: nel 2007, in tutta la Calabria, a fronte dei 6.400 autorizzati, si stima vi siano stati circa 20 mila lavoratori stranieri stagionali impiegati nel settore agricolo.
La prova: qui sotto,inconfutabile, Bobo Maroni era a ROSARNO (REGGIO CALABRIA)
per imbastire l'ennesima provocazione che vuole strappare voti alle prossime regionali voti anche nel sud d'Italia !Ai voglia a scherzare quando poi questi ci danno dentro davvero!
Lo dico il merito alle foto di Bobo per le strade del'Alabama razzista (...)
Resta una sporca inconfessabile manovra che rischia di degenerare nel sangue,una vergogna,una autentica vigliaccata !
"In tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, una immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall'altra ha generato situazioni di forte degrado, come quella di Rosarno"
"Stiamo intervenendo" - ha sottolineato il ministro -," intanto ponendo fine all'immigrazione clandestina, agli sbarchi che hanno alimentato il degrado, e a poco a poco porteremo le situazioni alla normalità, questo è il nostro impegno".Sottinteso " vivi o morti li cacceremo tutti ! " e magari nei campi a zappare la terra e a raccogliere le arance e pomodori ci mandiamo la sinistra buonista ed evesiva,no-global e Comunista...?
Se andate all'articolo (sopra nel link) della Repubblica.it vedrete come si stà dispiegando la manovra,la provocazione e le gravissime conseguenze che avviteranno il paese in una spirale di violenza xenofoba.
La prossima volta sarà il turno del "negro" che violenta un piccola innocente e pura bambina bianca...
Dichiara il commissario prefettizio: " Strana concomitanza con la riunione a Reggio del Comitato per l'ordine e la sicurezza "
...e lo svolgersi dei fatti avvalorano crudamente quello che stà avvenendo,l'esasperazione della popolazione immigrata che lavora nell'agricoltura i con la complcità delle mafie locali è giunta ad un tal punto che si stà configurando una rivolta che rammenta Spartacus
Costretti nei campi dalle mafie.
Da oltre vent'anni vengono nel nostro Paese per la raccolta delle arance: quattordici ore di lavoro per 20 euro di cui 5 vanno al "caporale".
Dormono dove capita: tende, fabbriche abbandonate, casolari diroccati
Sono spesso oggetto di comportamenti razzisti e vittime della criminalità organizzata
A novembre erano in Puglia fra gli ulivi più belli del Mediterraneo. A primavera migreranno in Campania a spezzarsi la schiena negli orti. Oggi erano qui: nella Piana dove è padrona la mafia più feroce del mondo.
Sono ghaneani, sudanesi, ivoriani, senegalesi. Vengono dal Togo, dalla Mauritania, dal Congo. Ma da anni sono tutti 'italiani'. Per sopravvivere. Per resistere. Per sfamarsi. Ogni giorno riescono a prendere quasi 20 euro, per dodici anche quattordici ore piegati in due a raccogliere le arance più profumate della Penisola e i mandarini - le clementine - più dolci.
Dicono che sono tremila, qualche volta diventano quattromila e forse anche di più. A Rosarno i calabresi sono appena in quindicimila. Quasi il novanta per cento del popolo nero che si trasporta come gli animali in branco non ha ancora trent'anni. Sono uomini, solo uomini.
Gli ultimi sono ultimi perché non hanno mai avuto un tetto tutto per loro. Dormono nelle fabbriche abbandonate della Calabria degli sperperi e delle ruberie di mafia e di Stato. Scheletri in mezzo al nulla. Si accampano fra i pilastri arrugginiti di cemento sulla costa, nelle masserie, in riva al mare. Rosarno è come Castelvolturno. Come Campobello di Mazara. Come tutta l'Italia che hanno sempre conosciuto. Il campo e il sonno.
È dal 1992 che vengono in questa Piana quando la zagara, il fiore dell'arancio, stordisce con il suo profumo. Non hanno mai freddo e non hanno mai caldo. Non hanno mai un contratto. I 'caporalì li prendono all'alba sui furgoncini, come al mercato del bestiame scelgono i più forti. Ogni 20 euro guadagnati ce ne sono 5 per loro: per i soprastanti che li fanno lavorare. È il pizzo che si fanno pagare i miserabili. E poi loro, per tre o quattro settimane racimolano il loro gruzzolo per non morire.
Non hanno documenti, non hanno passato. Solo la giornata conta: la giornata nel giardino di aranci.
Quelli del Magreb hanno trovato sette case pericolanti fuori dal paese, sulla strada per San Ferdinando. I sudanesi stanno da un'altra parte, sotto un grande tendone dove hanno sistemato i sedili squarciati di vecchie auto e i copertoni di un camion come comodini. E i senegalesi stanno ancora più in là, vicino all'inceneritore, in uno stabilimento che un tempo raffinava l'olio d'oliva. "Io dormo qui", raccontava un anno fa Stephan, un ragazzino di vent'anni. Qui è l'oblò di un silos dove una volta conservavano l'olio. Un cilindro metallico dove Stephan ha portato tutta la sua vita: la coperta, un paio di scarpe, un corano, un fornello dove ogni tre o quattro sere riesce a far cuocere qualche pezzo di agnello e un pomodoro. Stephan non ha acqua. Stephan non ha un bagno. Ce ne sono tanti come lui acquartierati anche verso Gioia Tauro e il suo porto, altri si sono dispersi verso Rizziconi.
Tutti hanno visto per la prima volta l'Italia dagli scogli di Lampedusa. Imbarcati come merce ad Al Zuwara, nella Libia più vicina alla Sicilia. E sbarcati come clandestini in Europa. Ci sono i neri più fortunati, quelli che hanno trovato un capannone come tetto per la notte. Ogni capannone ha una scritta di vernice che ricorda il luogo di partenza di ogni gruppo: Dakar, Rabat, Fes, Mombasa. Nei capannoni i letti sono di cartone. Anche Yasser ha il suo letto di cartone fradicio. L'aveva in Puglia due mesi fa, ce l'ha qui a Rosarno. "Ci dormo poco", racconta. All'alba è già fra gli aranceti. E solo al tramonto torna nel capannone dove c'è la scritta Casablanca. E dice: "Vivo nella paura, la paura di far sapere alla mia famiglia come vivo qui in Europa".
È da quasi vent'anni che il popolo degli ultimi vaga di terra in terra per l'Italia. Nel silenzio, nell'indifferenza. Nessuno lo dice mai chiaramente ma sono le 'ndrine, le famiglie della mafia calabrese, che più di tutte succhiano il sangue agli ultimi. Le 'ndrine che hanno le arance, che hanno tutto nella Piana. I mafiosi li aspettano al passo, dopo Natale. Quando è tempo di raccolta.
lo schiavo ribelle che sconfisse a più riprese le legioni Impero Romano per finire crocefissi a decine di migliaia lungo la Via Appia!
Spartacus, esasperato dalle inumane condizioni che Lentulo riservava a lui ed agli altri gladiatori in suo possesso, decise di ribellarsi a questo stato di cose e nel 73 a.C. scappò dall'anfiteatro in cui era confinato. Lo seguirono altri 70 gladiatori, fino al Vesuvio, la prima tappa della rivolta spartachista. Sulla strada che portava alla montagna[3] i ribelli si scontrarono con un drappello di soldati della locale guarnigione, che gli erano stati mandati incontro per contrastarli e catturarli.
Ma la vittoria arrise a Spartaco ed ai suoi, benché armati di soli attrezzi agricoli di cui si erano impossessati nella caserma della scuola gladiatoria. Così ebbero modo di armarsi con le armi da guerra dei soldati romani caduti. Spartaco fu eletto a capo dei ribelli, insieme ai galli Enomao e Crixus (detto anche Crisso o Crixio) e si rifugiarono ai piedi del vulcano per riorganizzarsi, aumentare le proprie forze accogliendo altri schiavi fuggiaschi ed addestrandoli, e decidere sul da farsi....
Spartacus, esasperato dalle inumane condizioni che Lentulo riservava a lui ed agli altri gladiatori in suo possesso, decise di ribellarsi a questo stato di cose e nel 73 a.C. scappò dall'anfiteatro in cui era confinato. Lo seguirono altri 70 gladiatori, fino al Vesuvio, la prima tappa della rivolta spartachista. Sulla strada che portava alla montagna[3] i ribelli si scontrarono con un drappello di soldati della locale guarnigione, che gli erano stati mandati incontro per contrastarli e catturarli.
Ma la vittoria arrise a Spartaco ed ai suoi, benché armati di soli attrezzi agricoli di cui si erano impossessati nella caserma della scuola gladiatoria. Così ebbero modo di armarsi con le armi da guerra dei soldati romani caduti. Spartaco fu eletto a capo dei ribelli, insieme ai galli Enomao e Crixus (detto anche Crisso o Crixio) e si rifugiarono ai piedi del vulcano per riorganizzarsi, aumentare le proprie forze accogliendo altri schiavi fuggiaschi ed addestrandoli, e decidere sul da farsi....
IL SOGNO SEGRETO DI BOBO MARONI ?
E' la rivolta dei diseredati d'Italia
di ATTILIO BOLZONI -
Costretti nei campi dalle mafie.
Da oltre vent'anni vengono nel nostro Paese per la raccolta delle arance: quattordici ore di lavoro per 20 euro di cui 5 vanno al "caporale".
Dormono dove capita: tende, fabbriche abbandonate, casolari diroccati
Sono spesso oggetto di comportamenti razzisti e vittime della criminalità organizzata
È LA rivolta degli ultimi, la rivolta dei neri che vagano per la nostra Italia. Quelli che si spostano
sempre, che sono in movimento perenne. Stagione dopo stagione, mese dopo mese e campo dopo campo. Per raccogliere arance o uva, olive o pomodori. Vivono per la terra e vivono nella terra. Senza una casa, senza niente. A settembre erano in Sicilia, intorno alle vigne di Marsala.
A novembre erano in Puglia fra gli ulivi più belli del Mediterraneo. A primavera migreranno in Campania a spezzarsi la schiena negli orti. Oggi erano qui: nella Piana dove è padrona la mafia più feroce del mondo.
Sono ghaneani, sudanesi, ivoriani, senegalesi. Vengono dal Togo, dalla Mauritania, dal Congo. Ma da anni sono tutti 'italiani'. Per sopravvivere. Per resistere. Per sfamarsi. Ogni giorno riescono a prendere quasi 20 euro, per dodici anche quattordici ore piegati in due a raccogliere le arance più profumate della Penisola e i mandarini - le clementine - più dolci.
Dicono che sono tremila, qualche volta diventano quattromila e forse anche di più. A Rosarno i calabresi sono appena in quindicimila. Quasi il novanta per cento del popolo nero che si trasporta come gli animali in branco non ha ancora trent'anni. Sono uomini, solo uomini.
Gli ultimi sono ultimi perché non hanno mai avuto un tetto tutto per loro. Dormono nelle fabbriche abbandonate della Calabria degli sperperi e delle ruberie di mafia e di Stato. Scheletri in mezzo al nulla. Si accampano fra i pilastri arrugginiti di cemento sulla costa, nelle masserie, in riva al mare. Rosarno è come Castelvolturno. Come Campobello di Mazara. Come tutta l'Italia che hanno sempre conosciuto. Il campo e il sonno.
È dal 1992 che vengono in questa Piana quando la zagara, il fiore dell'arancio, stordisce con il suo profumo. Non hanno mai freddo e non hanno mai caldo. Non hanno mai un contratto. I 'caporalì li prendono all'alba sui furgoncini, come al mercato del bestiame scelgono i più forti. Ogni 20 euro guadagnati ce ne sono 5 per loro: per i soprastanti che li fanno lavorare. È il pizzo che si fanno pagare i miserabili. E poi loro, per tre o quattro settimane racimolano il loro gruzzolo per non morire.
Non hanno documenti, non hanno passato. Solo la giornata conta: la giornata nel giardino di aranci.
Quelli del Magreb hanno trovato sette case pericolanti fuori dal paese, sulla strada per San Ferdinando. I sudanesi stanno da un'altra parte, sotto un grande tendone dove hanno sistemato i sedili squarciati di vecchie auto e i copertoni di un camion come comodini. E i senegalesi stanno ancora più in là, vicino all'inceneritore, in uno stabilimento che un tempo raffinava l'olio d'oliva. "Io dormo qui", raccontava un anno fa Stephan, un ragazzino di vent'anni. Qui è l'oblò di un silos dove una volta conservavano l'olio. Un cilindro metallico dove Stephan ha portato tutta la sua vita: la coperta, un paio di scarpe, un corano, un fornello dove ogni tre o quattro sere riesce a far cuocere qualche pezzo di agnello e un pomodoro. Stephan non ha acqua. Stephan non ha un bagno. Ce ne sono tanti come lui acquartierati anche verso Gioia Tauro e il suo porto, altri si sono dispersi verso Rizziconi.
Tutti hanno visto per la prima volta l'Italia dagli scogli di Lampedusa. Imbarcati come merce ad Al Zuwara, nella Libia più vicina alla Sicilia. E sbarcati come clandestini in Europa. Ci sono i neri più fortunati, quelli che hanno trovato un capannone come tetto per la notte. Ogni capannone ha una scritta di vernice che ricorda il luogo di partenza di ogni gruppo: Dakar, Rabat, Fes, Mombasa. Nei capannoni i letti sono di cartone. Anche Yasser ha il suo letto di cartone fradicio. L'aveva in Puglia due mesi fa, ce l'ha qui a Rosarno. "Ci dormo poco", racconta. All'alba è già fra gli aranceti. E solo al tramonto torna nel capannone dove c'è la scritta Casablanca. E dice: "Vivo nella paura, la paura di far sapere alla mia famiglia come vivo qui in Europa".
È da quasi vent'anni che il popolo degli ultimi vaga di terra in terra per l'Italia. Nel silenzio, nell'indifferenza. Nessuno lo dice mai chiaramente ma sono le 'ndrine, le famiglie della mafia calabrese, che più di tutte succhiano il sangue agli ultimi. Le 'ndrine che hanno le arance, che hanno tutto nella Piana. I mafiosi li aspettano al passo, dopo Natale. Quando è tempo di raccolta.
0 commenti:
Posta un commento
"Rifiutare di avere opinioni è un modo per non averle. Non è vero?" Luigi Pirandello (1867-1936)