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domenica 18 ottobre 2009

Tango "tra le tue braccia" un corto stupendo e l'Eros del Tango



Un locale fumoso con le luci basse e i vapori etilici sospesi a mezz'aria. L'attenzione del pubblico è catalizzata dal respiro del bandoneon, lo strumento principe del tango, che si allarga e si restringe come una scatola magica. Una manciata di secondi e si fanno avanti due ballerini. La scena ora è tutta loro.

Il braccio sinistro di lui e il destro di lei sono rigidamente tesi in posizione perfettamente perpendicolare al corpo, le guance appiccicate, l'espressione del viso fiera e seriosa, quasi crucciata. Un respiro profondo e parte la musica, partono gli scatti fulminei della testa, le virate improvvise, le cascate del busto all'indietro. Dalla penombra si materializza in pochi secondi davanti ai nostri occhi l'immagine, vista e rivista centinaia di volte, da Rodolfo Valentino in poi, dei ballerini di tango.

Il genere musicale che forse più di ogni altro si è prestato a luoghi comuni ed equivoci, e che più di ogni altro ha provocato negli anni veri e propri scandali, soprattutto a causa della sua carica di erotismo rituale. “Il tango è l'espressione verticale di un desiderio orizzontale”: la battuta, più azzeccata che mai, gira spesso fra i musicisti. Il sense of humour non è però uno dono che hanno tutti. Vediamo allora qualche scandalo.

Secondo “L'Osservatore Romano” del 27 novembre 1913, il tango “rivela la scarsa delicatezza dei negri e dei meticci” (il Papa pare volesse sostituirlo con la furlana, una danza popolare del '600, originaria del Friuli e utilizzata da Ravel e Ponchielli), mentre per una rivista dell'epoca il tango “mostra le contorsioni di una coppia di maomettani sotto l'effetto dell'oppio”, per altri ancora è un “dondolìo di selvaggi”, è “di origine barbara”. Vecchio e Nuovo Continente sono stati in quei periodi solidali e unanimi nella condanna: negli Stati uniti il tango veniva preso di mira da rabbini e pastori protestanti: è immorale, impudico, sudicio, tuonavano.

Lo scrittore Enrique Rodriguez de Larreta lo definiva “una danza tipica delle case di malaffare”. Forse non aveva nemmeno tutti i torti. Infatti la pensava più o meno così anche Astor Piazzolla. Secondo il più grande innovatore del tango, del quale quest'anno ricorrono i dieci anni dalla morte, sopraggiunta il 4 luglio 1992, ciò che accomuna il jazz e il tango è che entrambi sono nati nei bordelli, il primo in quelli di New Orleans e il secondo in quelli di Buenos Aires. Città magica dove hanno vissuto, oltre a Piazzolla, Jorge Luis Borges, Ernesto Guevara, e Carlos Gardel (1890 – 1935), l'altro nome illustrissimo della storia del tango (“E' un pensiero triste che si balla”, diceva). Il tango, lo ricordiamo, ha seguito uno sviluppo che si può grosso modo suddividere – come suggerisce Ramòn Pelinski, “nel suo prezioso e illuminante saggio Migrazioni di un genere: il caso del tango, dal quale abbiamo attinto alcune delle notizie sino ad ora riportate – in tre grandi “filoni”: tango – danza (1903-14), cui in seguito si sovrappongono la canzone (1920-45) e, infine, la musica strumentale (dal 1980).

Ma cos'è il tango? Classica domanda da un milione di dollari. Difficile rispondere in poche righe. Proviamo comunque a sbrogliare, almeno un po', la matassa. Il tango, spiega Pelinsky, è un'ibridazione urbana di danze locali portuali, creole e nere, con il ritmo della habanera e con elementi di musiche popolari, italiane e spagnole perlopiù, introdotte nei porti di Buenos Aires e Montevideo da immigrati europei alla fine dell'Ottocento. E' proprio da Buenos Aires “sorta in mezzo a pianure grandi come continenti, orizzonti dilatati, tramonti di commozione, dove l'Europa è lontanissima, ma è perenne nostalgia” (Enrico Deaglio), che il tango è partito per il suo coraggioso e lungo viaggio alla conquista del mondo.

Di Buenos Aires direttamente a Parigi, che ne ha costruito l'immagine esotica (viene in mente l'esotismo dello stile giungla, costruito invece attorno all'orchestra di Duke Ellington, nei due decenni successivi a Harlem). E da Parigi a Londra e in tutto il mondo.

Oggi esistono delle tradizioni di “tango autoctono” anche in Finlandia, in Giappone e in Turchia. E' scritto molto probabilmente nei suoi geni, il tango è una musica destinata a non passare mai di moda, a continuare ad essere popolare. Ovunque, per l'appunto. Un esempio banale, ma efficace: il disco Tango di Julio Jeglesias è stato uno dei più venduti nella sua carriera, con un successo speciale in Cina! Un esempio non banale, efficace anch'esso: se quasi tutti si sono dimenticati dell'anniversario di Astor Piazzolla, non si può dire la stessa cosa delle sue musiche, che continuano ad essere suonate e risuonate, in ogni dove. Se da jazzisti, orchestre sinfoniche o musicisti di strada, questo poco importa.

Esistono per esempio più di centocinquanta registrazioni diverse di Adios Nonino, uno dei suoi brani più noti.

Lo hanno inciso, fra i tanti, Daniel Barenboim (sì, proprio lui, il celebre direttore d'orchestra e pianista), Die 12 Cellisten der Berliner Philarmoniker, il trio jazz di Fred Hersch, il vibrafonista Gary Burton, il clarinettista kletzmer Giora Fiedman, Lalo Schifrin, l'Orchestra d'Archi Italiana di Mario Brunello, il New Danish Saxophone Quartet, Phil Woods, Richard Galliano.

Piazzolla, che era nato l'11 marzo 1921 a Mar del Plata, ci ha lasciato una montagna di musica, più di mille lavori, e, oltre a Adios Nonino, molti altri dei suoi brani (citiamo al volo Oblivion e Libertango), sono entrati a far parte del repertorio comune, e non solo di quello jazzistico: il violinista Gidon Kremer, il violoncellista Yo Yo Ma si sono applicati alle pagine, spesso complesse e intricate, del compositore, al quale, sul finire degli anni Ottanta, sono state commissionate anche due partiture per il quartetto musicalmente onnivoro per eccellenza, il Kronos Quartet.

La sua è stata una figura di difficile collocazione: Piazzolla fonde e confonde il tango porteño – quello argentino delle origini – con i modi e le forme del jazz e con quelli della musica colta. Non bisogna dimenticare infatti che ha studiato composizione con il grande Alberto Ginastera (1941-46), che gli ha insegnato tutto quello che c'era da sapere su Stravinsky e Bartòk, ma che però, forse involontariamente, gli ha fatto anche “abbandonare” il tango: Piazzolla, negli anni successivi, si butta su sinfonie, ouverture, concerti per pianoforte, musica da camera. Ci penserà Nadia Boulanger (1954-55, per le preziose mani di questa “cult-teacher” sono passati anche Roger Sessions, Walter Piston, Aaron Copland, Egberto Gismonti), a rimetterlo in carreggiata e a convincerlo a “ripensare” il tango.

In una delle ultime interviste rilasciate, Piazzolla ha ricordato che si vergognava addirittura di confessare alla sua insegnante di suonare il bandoneon, e che, col senno di poi, si è invece reso conto che quei 18 mesi di studio accanto a lei gli sono serviti “come fossero stati 18 anni”. E' forse anche grazie alla Boulanger che la musica di Piazzolla riesce ad imporre “la tagliente violenza del tango primitivo in mezzo a un disegno di fuga o a un ricorso politonale” (Carlos Kuri). La forza e il potere dei suoi tanghi, alla fine, si fondono sulla corporeità. Ecco che rientrano in scena i nostri due ballerini.

Credit Helmut Failon L'Unità

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