IL PADRE A MILANO PER APPELLARSI ALLA «CLEMENZA DELLO STILISTA»
Armani, linea dura contro i writer
Un artista francese ha imbrattato un negozio ad Hong Kong, rischia il carcere e di dover pagare 600 mila euro
Il video
MILANO- Forse perché ha scelto il simbolo di un' altra casa di moda. Altrettanto famosa. O forse perché quel disegno «disturba» l’immagine di un palazzo imponente. E lussuoso. Fatto sta che Giorgio Armani non ci ha pensato due volte. E al writer che ha disegnato un graffito («d’arte») sulla facciata della sua sede di Hong Kong ha chiesto un rimborso a cinque zeri. Oltre seicento mila euro per le due «C» rovesciate di Chanel. E una denuncia che si può trasformare in una condanna di reclusione al famoso street artist Aghirre Schwarz, in arte Zevs, e due suoi assistenti. Una vicenda che si è trasformata in un triangolo di accuse e di scuse tra Hong Kong, Parigi e che si chiude a Milano, dove il padre dell'artista presidia gli uffici dello stilista con lettere di scuse. «Il processo è fissato il 14 di agosto. Non me ne vado finché qualcuno dello staff di Giorgio Armani non mi riceve». E intanto dal gruppo Armani fanno sapere che «è stato solo denunciato il fatto. E non l'artista. Abbiamo chiesto che la facciata del palazzo venga ripulita. Niente di più».
IL CASO- La querelle comincia il 13 luglio. Zevs è a Hong Kong per una mostra. Durante la notte decide per il blitz. L'artista non ha usato bombolette, ma un adesivo con un colore a base di acqua. Tutte precauzioni necessarie «affinché la pittura fosse removibile e potesse essere rapidamente tolta. Sono perciò in contatto con un'impresa specializzata in restauri di monumenti antichi. E secondo una loro valutazione è possibile ripulire il muro in 24 ore», sostiene Schwarz nella lettera. Un secco no sarebbe arrivato dalla casa di moda. Che non solo ha chiesto i danni per 6,7 milioni di dollari di Hong Kong, ma ha anche denunciato il 31 enne a cui è stato immediatamente tolto il passaporto. E non può lasciare il Paese finché non ci sarà l'udienza in tribunale.
LE SCUSE- Sono più di dieci giorni che l'artista tempesta di email, lettere e fax gli uffici di via Borgonuovo. «La mia intenzione non era di danneggiare né lei né l'immagine della sua impresa. Bensì, il fine della mia azione, era di far riflettere il pubblico sul ruolo della libertà d'espressione nella nostra società consumistica», si legge in una delle ultime missive. Ancora: «Con questa lettera faccio quindi appello alla sua clemenza e comprensione per la mia azione. E le chiedo di ritirare la denuncia, sperando sia possibile risolvere la situazione in via amichevole».
GLI APPELLI- Ma a volte il silenzio è peggio di un'accusa. E siccome quello dello stilista è ostinato, il padre ha deciso di fare i bagagli per venire sotto la Madonnina. Da Parigi a Milano. Da due giorni piantona gli uffici di Giorgio Armani. «Non mi ha ricevuto ancora nessuno. Ma io non perdo la speranza», spiega. Certo, il periodo non aiuta, «ma mio figlio rischia il carcere in un paese lontano. E molto diverso dall'Europa. Ha sbagliato, ma tutti abbiamo diritto a una seconda chance». Per questa si rivolge, anche lui, «alla clemenza di un uomo importante». E il gruppo dello stilista interviene spiegando che «non siamo stati noi a chiedere una pena detentiva. E nemmeno un risarcimento straordinario. Chiediamo solo che il palazzo venga ripulito». Il futuro, però, è molto incerto e un appello per aiutare Zevs, è arrivato anche sul tavolo del ministro alla Cultura francese Frédéric Mitterand. Intanto l'artista dice di stare bene. Ancora a Hong Kong teme per una condanna. E, forse, maledice l'idea di quella performance. Quella doppia «C» proprio sull'edificio di Giorgio Armani.
Benedetta Argentieri
martedì 4 agosto 2009
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"Rifiutare di avere opinioni è un modo per non averle. Non è vero?" Luigi Pirandello (1867-1936)