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martedì 6 maggio 2008

Alessandra Urso

CENNI CRITICI di Michel Abbatangelo 1998

- In occasione della personale di Alessandra Urso a Padova nel 1998 al"mercoledi delle scimmie"

… Le conosco tutte le Alessandre: quella informale, dei rossi sgargianti, dei verdi lussureggianti del tempo in cui si cimentava con le tele, quella dei guerrieri totemici, Dei, sovrastati dallo scorrere degli eoni, immersi sino alla consunzione nello scorrere del tempo, degli infiniti tempi sino ad accartocciarsi, scarnificarsi in un essenziale osseo legnoso scuro e straordinariamente evocativo del luogo "oltre". Personaggi bloccati in una fissità sulla follia umana di grandissima dignità, pietà e comprensione.
Quella dei graticci rettangolari, di legno biaccato, un poco obliqui e volti al sole, appena infissi nella sabbia, e lì come trappole di ragno, attendere al varco frammenti di innocenza e di sogno al femminile…
Stracci, lini e cotoni lì rappresi dopo che la brezza marina e qualcuno li aveva strappati, rapiti o solo accolti.
Quella Medicale che bendava l'offesa magia della natura con quel che di tribale e di etnico, sciamanico apportato dal suo incontro con l'Africa. Quella che da sempre con misteriosa coerenza si fa vestale, sacerdotessa di un femminile riposto e dimenticato.
Ed oggi quella che costruisce le "Colline Crociate" e come sempre investe questi poveri legni, di pioggia, vento, polvere e tempo. Croci di tutti i tipi, dalla più tradizionale (di una semplicità straordinaria) alle più complesse, ricche di significati, esili, totemiche a volte con tratti antropomorfi, un che di passione orgogliosamente portata, quasi sfida irridente, con tante braccia spalancate ad una accoglienza fiera.
Croci che si fanno grido "silenzioso" , su cui s' innestano infinite passioni e qualcosa di gestante, di attesa e poi alcune delle più meravigliose in cui la passione sta ai piedi di un quasi umano riscatto giacchè sembrano dee primitive, antiche, coloro che hanno dominato, asservito la dolorosa consapevolezza del limite (…) della diefettività.
E… per la prima volta, il legno si fa chiaro, luce ad emergere da un continuum di scura bruciata immortalità.
Ancora quelle che racchiudono porzioni di "vuoto" cielo, gravide, sino a quella che forse più di tutte mi colpisce per il selvaggio che esprime, uno scavato ai limiti del possibile che la fa sfuggire da ogni classicismo o barocchismo fuori da ogni logica plastica, con un che di espressionista.
Un poco vi ravvedo il tentativo di afferrare le dilanianti contraddizioni del nostro attuale contemporaneo interiore, una sorta di pianta a cui stanno lembi e stracci fossilizzati, impigliati a monito e rappresentazione di un grandioso minuto dramma.
Poi, ancora le ballerine, volutamente intozzite, abbruttite, appesantite ed al contempo slanciate, esili, apparentemente fragili, dai connotati in via di metamorfosi, indecise… credo, queste, siano una rappresentazione appena appena venta da un che di autobiografico…
Anche… se una di esse scruta l'orizzonte resta in lei un che di fatalistico poco gravido di attese e desideri.Alessandra è un'artista straordinaria, geniale, posseduta, non si capisce a quali fonti abbia abbeverato lo slancio che caratterizza la sua personalità di una complessità abnorme, a tratti patologica;
Il mondo della sua rappresentazione è misterico, quasi esoterico, magico, più accessibile alle vestali, alle sacerdotesse o ad uno sciamano delle foreste che ad una sufragetta del nostro affaticato occidente mentale (…). Il trascendentale è vivissimo nella sua rappresentazione, sa riproporsi sempre nuova, più profonda con una intrinseca qualità di grido unica. La sua astrazione, il suo informale è quanto di più figurativo si possa immaginare, la vivezza del ritratto dell'inconoscibile lascia perplessi (a dir poco) , e lo sappiamo che è un paradosso madornale.
Se potesse dar sfogo alla prepotente vena che la anima avremmo il nostro paesaggio meravigliosamente sconvolto da una miriade di personaggi mirabilmente usi ora alla comprensione ora ad esprimere un giudizio critico severo ma non minaccioso.
Tutta una teologia si può ravvisare nella sua rappresentazione: ad esempio la sua cosmogonia non contempla dei, divinità in armi e semmai esse sono presenti di rado, lo sono in vesti di scettro, di simbolo di potere. Ancora, essi (…) pur essendo dei, semidei sembrano ancora per un tratto immersi nel fiume del tempo seppure al tempo stesso immortali, sembrano praticare la contiguità con l'umano per un che di affetto o per un patto che contempla l'attesa di un "pervenire" anche noi alla medesima condizione.
Una attesa (la loro) che contempla una infinita pazienza e un inestirpabile legame con la condizione umana in cui forse un tempo erano incarnati. Religiosità! Ecco, malgrado il personaggio non pratichi in nessun modo le pratiche religiose… non si capisce come questo mondo trovi in lei una cantrice così straordinaria.
Vien da immaginare che allorchè l'artista riposa tutta una serie di donne, streghe, sacerdotesse del passato la possiedono suo malgrado per portarla alla rappresentazione di cui godiamo tra lo scettico ed il perplesso (dato il tempo che viviamo).
In definitiva una personalità senza tempo, nata nel secolo sbagliato e più figlia del primo novecento di quanto si possa immaginare.
Nessuno riuscirà mai a cogliere la magia irrazionale (apparentemente) della sua rappresentazione, della sua cosmogonia, né gli amici in balia dei loro strazianti banalissimi vissuti sentimentali (…), né certa critica troppo "concettuale" con l'occhio perso nel vuoto…
Sentiranno qualcosa di strano davanti alla sua opera, ma saranno incapaci di penetrarla.

Arte Urso

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