Aforismi
Raymond Boudon
La spiegazione delle credenze
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Il sociologo Durkheim ha studiato delle pratiche e dei rituali magici tra gli australiani. Coloro che praticano tali rituali credono che questi faciliteranno la riproduzione del gregge. Esistono anche rituali magici che hanno la funzione di facilitare la caduta della pioggia sui raccolti, e così via. Possiamo quindi affermare che i riti magici sono credenze in relazioni di causalità che risultano false, o meglio, che a noi appaiono false.
Anche in Weber troviamo una teoria della magia. Egli fa questa considerazione: noi facciamo una grande differenza tra il "facitore di fuoco" e il "facitore di pioggia". Pensiamo che il facitore di fuoco sia un uomo che si basa su relazioni di causalità vere. Il facitore di pioggia, al contrario, è qualcuno che si basa su relazioni di causalità completamente assurde per noi. Ma c'è una vera differenza? Weber risponde: "no, non c'è nessuna differenza per chi pratica quei riti".
Perché noi facciamo una differenza tra il facitore di fuoco e il facitore di pioggia? Perché conosciamo le leggi della trasformazione dell' energia. Sappiamo che l'energia cinetica si trasforma in energia termica, sappiamo che c'è una vera relazione causale dietro l'atto del facitore di fuoco. Ma perché lo sappiamo? Perché conosciamo un po' di fisica. E perché conosciamo un po' di fisica? Perché ce l'hanno insegnata. E perché ce l' hanno insegnata? Perché c'è una istituzionalizzazione della scienza nelle nostre società. Allora, conclude Weber, una società cosiddetta primitiva o arcaica, siccome non ha gli stessi quadri cognitivi e non sa nulla di fisica, non fa nessuna differenza tra il facitore di fuoco e il facitore di pioggia.
Durkheim dice, all'incirca, la stessa cosa, ma in maniera un po' più complessa. Argomenta così: immaginiamo gli individui di una società arcaica la cui attività principale sia l'agricoltura. Queste persone hanno un bisogno esistenziale urgente che le piante vengano fuori: la siccità, infatti, può voler dire carestia. Di conseguenza sono disposti a fare di tutto per modificare il corso della natura, per facilitare la crescita delle piante. Da dove tireranno fuori questa conoscenza biologica? Noi estraiamo la nostra biologia dalla cultura scientifica. Ma in quella società non esiste una cultura scientifica. Da dove si estrae, in questo caso, la conoscenza biologica? Naturalmente, dal sapere dominante costituito dalla religione. Durkheim, dunque, interpreta le credenze magiche come ricette tecniche estratte dal sapere religioso, simili alle ricette tecniche che noi estraiamo dal nostro sapere scientifico.
Di recente mi trovavo in California e il libro che vendeva più copie - se ne vedevano pile impressionanti in tutte le librerie - era intitolato La dieta del dottor Atkins. Ha venduto centinaia di migliaia di copie. Quel libro difendeva una relazione di causalità: "se volete sentirvi bene, dimagrire, avere il peso giusto, mangiate solo grassi, ma evitate assolutamente il pane e gli alimenti di questo tipo".
Dunque, eccovi un libro che difendeva una certa relazione di causalità, e che ha avuto un successo pazzesco. In questo caso le condizioni non sono molto diverse da quelle individuate da Durkheim: quando siamo in una situazione esistenziale che presenta un bisogno molto pressante, è molto difficile avere una risposta scientificamente fondata in tempi rapidi. Si vagola un po' nell'ignoto, e quindi si costruiscono, con quel che si ha, delle congetture. Si tende, con grande facilità, a confondere le congetture con le certezze. La situazione non è sostanzialmente diversa da quella delle società arcaiche.
Credo che in questo stesso modo si debba spiegare la pratica della numerologia o dell'astrologia, per esempio, da parte di molti imprenditori. Penso che cose simili si spieghino attraverso la tensione tra un bisogno e un sapere, tensione nella quale il sapere è insufficiente per corrispondere, o rispondere, al bisogno. Credo che, in maniera generale, le credenze apparentemente irrazionali si possano spiegare così.
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"Rifiutare di avere opinioni è un modo per non averle. Non è vero?" Luigi Pirandello (1867-1936)