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lunedì 16 maggio 2011

"DON GELMINI DEVE PAGARE" (post per stomaci duri...) semplicemente raccapriciante,l'icona dell'orrore della porta accanto (pardon della Chiesa accanto!)

Fonte-Droga, santi e telefilm
Comunità che fanno male
Parla l'autore del noir «Mara come me», edizione Cooper, storia fantasiosa ma anche autobiografica ispirata al prelato amico del Cav.

«In futuro sarei guarito dalle numerose malattie causate dalla droga ma mai mi sarei del tutto liberato dallo stress e dal dolore subiti». Fausto è solo uno dei tanti ragazzi che come nau­fraghi esausti approdano in una ben pre­cisa comunità di recupero per tossicodi­pendenti, molto sponsorizzata, e si ritro­vano invece prigionieri di una sorta di set­ta dove le conoscenze medico-scientifi­che vengono rifiutate e sostituite dalla «Cristoterapia», imposta da un prelato sempre circondato da guardie del corpo e dai suoi fedelissimi. Una comunità do­ve le forze dell'ordine si fermano alla por­ta, anzi, attendono in auto "il Don" da scortare. Abusi, soprusi, violenze psichi­che, fisiche e sessuali: «Ma era poi così dif­ficile immaginare come quasi 600 in­dividui provenienti dalle strade di tutta Italia e con le esperienze più miserevoli al­le spalle, rinchiusi nello stesso luogo e sotttoposti a privazioni di tutti i tipi tra cui quelle del sesso, potessero dedicarsi a
qualcosa di diverso, viste le finalità stru­mentali della direzione?». Li «c'era don Luigi, ma chi controllava che don Luigi fosse idoneo a un compito simile? Il Vati­cano? Chi verificava la preparazione dei suoi collaborarori, in maggioranza ex tos­sici formatisi in quella stessa scuola?».
Fausto è il protagonista del romanzo di Marco Salvia «Mara come me» appena edito dai tipi della Cooper(pag. 159, euro 13). Un noir dal ritmo serrato, intrigante e appassionante, che in questa edizione (la seconda: venne pubblicato per la pri­ma volta nel 2004 da Stampa Alternativa) porta in calce la rivelazione del segreto che nasconde la storia vera del fondatore della comunità cui l'autore si è ispirato.

Salvia, ci racconti tutto dall'inizio, da quando il suo noir venne scelto dalla Coloradofilm di Gabriele Salvatores per farne una fiction.
Scrissi la sceneggiatura, ma è finita se­polta in un cassetto, perché ormai in Ita­lia non si fa più un film se non passa per la televisione e in tv le porte si sbarrarono una ad una. Si può immaginare che tipo di reazioni ha sollevato quel Don, mani­polatore di anime, che fonda una sorta di città-stato tra le colline del centro Italia dove riceve illustrissimi ospiti e dove le te­rapie psicologiche e farmacologiche per la cura della tossicodipendenza non sono altro che «ridicoli palliativi inutili e fuor­vianti», come afferma il Don Luigi del ro­manzo.
Fu allora, nel 2005, proprio sul manife­sto che lei svelò i tratti autobiografici, reali, di un romanzo che è anche costru­ito su spunti di fantasia e rivelò a chi era ispirato don luigi, uno del personag­gi principali. Venne querelato?
Assolutamente no, anzi. Dissi esplicitamente che si trattava di Don Pierino Gel­mini, fondatore della comunità Incontro di Amelia(Tr). Anche se per scrivere il ro­manzo ho raccolto quasi 100 interviste di ospiti di varie comunità terapeutiche, e per quanto riguarda l'omicidio descrit­to nel romanzo, mi sono ispirato alle de­posizioni del processo a Vincenzo Muccioli (assolto in secondo grado) il fondato­re di San Patrignano. Sono testimone del grande business che si è sviluppato attor­no a questo tipo di comunità e alla propa­ganda che tende solo a fare disinforma­zione sul problema delle droghe. In Fran­cia la comunità Le Patriage, che ha lo stes­so approccio ideologico di Gelmini e Muccioli, è stata iscritta sul registro delle sette.
È successo invece che il mio libro è stato acquisito agli atti dell'inchiesta del­la procura di Terni, e io stesso sono stato ascoltato dal pm Barbara Marzullo che nel marzo 2009 richiese e ottenne il rinvio a giudizio per don Gelmini con l'accu­sa di aver abusato sessualmente di 1O ospiti della comunità Incontro, alcuni dei quali minorenni.

Parliamo di un personaggio non da po­co: nel 2006 con la sponsorizzazione di don Gelmini è diventata legge dello stato Italiano la Fini-Giovanardi che senza alcun fondamento scientifico ha parificato di fatto l'eroina alla marijuana fa­cendo la ricchezza delle mafie e delle comunità terapeutiche private. E riempiendo le carceri di tossicodipendenti o di piccoli spacciatori. Lei ha conosciu­to don Gelmlnl, vero?
Sì. Negli anni '80 ho passato una deci­na di giorni nella comunità Incontro, ad Amelia. E ho conosciuto tanti ragazzi che vi sono passati. Ho aiutato alcuni di loro a farsi forza e denunciare, perciò mio mal­grado sono diventato il catalizzatore di tante terribili storie, tanti ragazzi che mi cercano perché non sanno a chi rivolger­si. Purtroppo sono anni che ricevo tanti piccoli "avvisi", telefonate mute notturne e altro. Ma non mi importa. Qualche tem­po fa mi chiamò la madre di un ragazzo che mi chiedeva aiuto perché era dispera­ta, tanto più perché lei era molto devota a quel prelato e lo vedeva come una sorta di santo. È così, d'altronde, che vogliono farlo passare. È già cominciata l'operazio­ne di santificazione con un film dal titolo «Don Pierino» -l'unico che in quest'Italia anestetizzata si può fare su don Gelmini- ­che è pieno di falsificazioni, uno spotto­ne per descriverlo come un santo e accu­sare di persecuzione chi lo ha denunciato e chi indaga. Una fiction appena prodot­ta che è un manifesto per esaltare questa persona e che presto - ne sono sicuro - ve­dremo in televisione. Pensi che tra le va­rie comparsate di questo film, veri e pro­pri testimonial della sua immagine me­diatica, c'è anche Silvio Berlusconi.
Queste sono sue valutazioni, non l'ho ancora visto. Dunque quest'anno, in oc­casione dell'apertura del processo a don Gelmlni prevista per Il 29 marzo 2011 ma subito rinviata a ottobre per problemi di salute del principale imputato (gli altri sono tre suoi collaboratori ma uno, Pierluigi La Rocca, nel frattem­po si è suicidato, la casa editrice Coo­per le ha chiesto di aggiungere in calce al romanzo la cronologia del caso giudi­ziario del controverso sacerdote. Per­ché lei ci tiene così tanto a far emergere questa storia?
Perché si dice sempre che ha salvato tante persone mentre io credo siano mol­te di più quelle che ha distrutto. Poi ci so­no persone che sono state brave a salvar­si da sole, e la comunità ha offerto loro un posto dove farlo. Basti pensare che non è riuscito a salvare nemmeno La Roc­ca, ex tossicodipendente e suo fedelissi­mo trattato a base di Cristoterapia per vent'anni. Va detto chiaramente che il processo va fatto e non deve essere affos­sato. lI problema è che queste comunità ricevono moltissimi soldi pubblici. Don Gelmini, poi, malgrado abbia già sconta­to 4 anni di carcere negli anni '70 e sia accusato di abusi sessuali, gode della difesa ad oltranza di molti e potenti espo­nenti politici del centrodestra e degli in­genti doni di Berlusconi, decine di milio­ni di euro che gli sono serviti a costruire un impero di 150 comunità nel mondo anche in Thailandia, Bolivia e Costarica(5 milioni di euro solo negli ultimi anni, secondo la lista di donazioni resa nota dallo stesso Berlusconi attraverso Italia 1 nel febbraio scorso, ndr).
Nella postfazione al romanzo lei raccon­ta le mille difficoltà incontrate dai ra­gazzi abusati nel trovare credibilità ("è la nostra voce che ascolteranno, non quellà di un tossico bugiardo come te'') e dalle famiglie impaurite dalla potenza e dalle conoscenze del personaggio.
Ma perché, se fossero veri tutti questi abusi, la comunità terapeutica non esplode?

Perché c' è effettivamente un grande controllo carismatico su persone molto fragili come i tossicodipendenti e le loro famiglie. Persone che non sanno a chi al­tro rivolgersi perché questo governo sta smantellando poco a poco tutti i servizi sociali per tossicodipendenti. Sono ragaz­zi che cercano un nuovo padre e genitori che credono più all'immagine che alla realtà. Dentro la comunità la legge non entra perché esiste solo la legge-verità del capo supremo. È una semplificazione che sviluppa dipendenza perché le leggi sono semplici, preistoriche, e se fili dritto spesso ti viene dato un ruolo che ti per­mette di usare potere verso gli altri. La so­cietà -che rimane fuori e non entra mai in queste strutture al contrario di quanto avviene perfino nelle carceri- è più complessa, è più difficile confrontarsi con le norme, le relazioni e la libertà di scelta. Un progetto di recupero, invece, dovreb­be essere un progetto di restituzione alla società.
Lei trova delle somiglianze tra la figura pubblica di Don Gelmini e quella di Silvio Berlusconl?
Assolutamente sì: antropologicamen­te, culturalmente, politicamente. Entram­bi puntano a un potere carismatico ma don Gelmini, che non ha nulla di mistico, io credo sia più reazionario e bigotto. So­no molto potenti e sanno usare bene l'im­magine mediatica, entrambi odiano chi si mette di mezzo sul loro cammino. Non aspirano all'autorevolezza ma ad ottene­re riconoscimento. E questo è terribile, perché se una persona accede a un servi­zio non deve essere riconoscente a nessu­no, è un suo diritto. Entrambi lavorano per costruire fabbriche di benpensanti, per limitare la capacità di pensiero delle persone. Gelmini conosce molto bene Berlusconi.
Eleonora Martini da "IL MANIFESTO" del 3/5/2011

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