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martedì 27 luglio 2010

CAPO, TI SPIEGO PERCHE' STO DIVENTANDO UN ASSASSINO


Non guardare la canna della pistola, guardami in faccia. Ti devo una spiegazione, non si manda uno al creatore senza dirgli perché. Anche se è il capo che ti voleva licenziare E il perché te lo voglio spiegare bene, anche se non servirà a nessuno dei due, tanto è finita sia per te che per me. Diranno di me che ero lacerato da conflitti irrisolti, che ero una personalità incompiuta e tutte quelle belle robe che gli psicologi tirano fuori ad ogni occasione, sia che si ammazzi un figlio, il padre, la moglie o uno sconosciuto. Brillante conclusione! Se si ammazza qualcuno non è detto che si sia pazzi, ci vuole una perizia psichiatrica per stabilirlo, ma tanto normali nemmeno si è! Diranno di me che non sono stato all'altezza delle sfide del mondo del lavoro attuale, che è una giungla niente male dove si combatte a colpi di efficienza e produttività. E anche qui si peccherà di marchiana approssimazione, il mercato del lavoro che si sta consolidando non è meritocratico. La meritocrazia non può prescindere dalla professionalità. E questa si costruisce nel tempo, è come una tela tessuta con pazienza giorno per giorno. Il precariato è l'antitesi della professionalità, è la tela di Penelope che non arriverà mai ad essere lenzuolo. Diranno che soffrivo di crisi di identità e questa è solo una banalità se non si ha la voglia di chiedersi: identità rispetto a cosa? Guarda quei pezzi di carta che hai sulla scrivania. Quei bigliettini da visita dove c'è scritto che sei il Dott. Tizio o Caio, che si occupa di quello di cui si occupa ed è responsabile di quello di cui è responsabile. Hai anche una biografia, una moglie, figli, affetti, interessi e sentimenti. Ma ai fini della tua identità al giorno d'oggi non contano, da quando esiste la società industriale siamo pezzi di carta che ci scambiamo con le strette di mano, biografie scritte in rilievo su cartoncino. La nostra identità è il ruolo, la mansione che svolgiamo all'interno di quell'apparato tecnico che governa il mondo. Dove, prima che le regole se ne andassero a puttane, ognuno di noi, per lo meno nell'occidente sviluppato, aveva, o sperava di avere un posto. Ma adesso è arrivata la globalizzazione, che si è portata dietro la sua comare flessibilità, a sparigliare tutto. E l'identità si è fatta labile, siamo esseri senza volto, un giorno abbiamo una maschera, un giorno un'altra. E non vediamo via di uscita, solo un immenso deserto di esseri come noi con cui non abbiamo legami, una comune appartenenza: se non c'è identità, non c'è nemmeno appartenenza. Una valle di uomini e donne soli senza speranza perché la speranza non è mai delle solitudini. La speranza ama la compagnia, si nutre di desideri comuni, sta lì dove si raccontano storie intorno ai fuochi. Sta lì dove si guarda tutti verso lo stesso orizzonte. Ecco, capo, io non ho più i freni inibitori dell'identità e della speranza, perciò compio questo gesto senza senso, estremo e ultimo.
Diranno di me che sono un assassino, e questa sarà l'unica verità intera.

1 commento:

  1. è un articolo bellissimo e poetico...sembra un epitaffio per l'assassino...

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"Rifiutare di avere opinioni è un modo per non averle. Non è vero?" Luigi Pirandello (1867-1936)