Dal Corriere della sera.it
NEW YORK - A cinquantacinque anni Jeff Koons è uno degli artisti più quotati del mondo. È anche un collezionista: sulle pareti rosa salmone della camera da letto, nella sua casa nell’Upper East di Manhattan, ha appeso quadri di Manet, Courbet e Poussin, solo per citarne alcuni. Da pochi giorni, poi, ha indossato anche i panni di curatore. Ha allestito la mostra Skin Fruit, aperta fino al 6 giugno al New Museum di New York. Scegliendo tra 80 opere della collezione privata del magnate greco Dakis Joannou, che non a caso è uno dei sostenitori del New Museum, nonché uno dei suoi collezionisti (in mostra, tra gli altri, Mike Kelley, Cindy Sherman, John Bock, Nathalie Djurberg e Dan Colen). E per l’occasione si è sdoppiato: il curatore Koons ha scelto, infatti, di esporre anche un’opera dell’artista Koons, One Ball Total Equilibrium Tank, una palla da basket sospesa nell’acqua, realizzata nel 1985. Lo abbiamo incontrato nel suo gigantesco studio di Chelsea, sulla ventinovesima strada, dove lavorano per lui 135 assistenti. E dove ci ha parlato della sua carriera e della vita privata, presentandosi con T-shirt bianca, golf blu e un gran sorriso.
Perché ha deciso di creare una factory?
Il lavoro artistico è il gesto, l’idea. Creo le immagini delle mie opere al computer e i miei assistenti le realizzano al mio posto. Vengono create delle mappe molto elaborate e preparati i colori in modo che non debbano prendere nessuna decisione: sono la mia estensione. Ma non è una factory: produciamo solo 10 quadri e 8 sculture circa ogni anno, cerco di mantenere un livello di qualità molto alto. Esistono lunghe liste di attesa: non tutte le persone che possono permettersi un’opera di Jeff Koons riescono a comprarla.
Come seleziona i suoi collezionisti?
Non lo faccio personalmente. Ileana Sonnabend è da sempre la mia gallerista. Abbiamo un rapporto molto stretto con Larry Gagosian. E abbiamo degli amici, come il gallerista Max Hetzler a Berlino e Jerome de Noirmont, a Parigi. È Jerome ad avere avuto l’idea di esporre a Versailles dieci anni fa (Koons è il primo artista ad avere avuto una personale a Versailles nel settembre 2008, ndr). Loro sanno chi sono le persone realmente impegnate nell’arte. Non vendono agli speculatori, perché chi vuole comprare per poi rivendere non mantiene gli oggetti in buono stato, cosa che è molto difficile fare, anche per un breve periodo di tempo. (Tra i collezionisti più importanti di Jeff Koons c’è Eli Broad: colleziona le sue opere dall’85, e non ne ha mai venduta una, ndr).
Qual è la prima cosa che ha pensato quando ha saputo che Larry Gagosian ha comprato la sua scultura Hanging Heart ad un’asta da Sotheby’s nel 2007 per più di 17 milioni di euro, segnando il record d’asta per un’opera di un’artista vivente?
Recentemente ho venduto a prezzi vicini a quella cifra. Ma quella era un’asta, e io sulle aste non guadagno nulla. Comunque, non ho mai avuto problemi con il fatto che un’opera d’arte possa avere un valore molto alto: è una forma di protezione. Se qualcuno investe una cifra del genere ci sono più possibilità che l’oggetto venga ben preservato.
All’inizio della sua carriera per mantenersi faceva il broker. Cosa ha imparato da Wall Street?
Wall Street ha rafforzato il mio amore per l’arte. Moralmente, amo avere il controllo del mio prodotto e amo il fatto che puoi essere ancorato nel tuo proprio essere. Wall Street è un mondo molto limitato, pieno di ansia, dove non sei in grado di controllare se un mercato scende o sale. Nell’arte il valore delle opere può salire, ma non può scendere: ho costruito una certa solidità. Oltretutto l’arte è un microcosmo, nel quale puoi avere un dialogo con tutte le discipline del mondo: l’economia, la teologia, la filosofia, la sociologia, tutto in un unico gesto.
Che cosa rende il suo lavoro unico al mondo?
La forte energia visiva che c’è dietro alle mie opere. Sono riuscito ad articolare la mia iconografia personale. Ho accettato pienamente me stesso: solo quando ti accetti puoi uscire fuori, essere aperto ed essere accettato. La mia arte non ha a che fare con il lusso, con il consumismo o con il materialismo, come sostengono in molti, ma con l’intensità. Gli oggetti senza l’uomo non sono nulla. Io mostro la magnificenza dell’energia, le sue eccitanti possibilità. L’arte ha portato trascendenza nella mia vita, ha espanso i miei parametri, e voglio espandere i parametri dello spettatore, trasmettere cosa significa sentirsi vivi. Per essere un artista devi essere generoso.
Per realizzare le gigantesche opere in acciaio inossidabile di Celebration negli anni Novanta, ha rischiato la bancarotta. Massimiliano Gioni, curatore delle mostre speciali al New Museum, sostiene che lei “ricerca la perfezione al di là di ogni ragionevole limite”. È cosi?
Nelle opere di Celebration, ispirate alle sfere di cristallo che le persone mettono nei loro giardini dei sobborghi americani come segno di generosità nei confronti dei loro vicini, l’invisibile è visibile: c’è un’interfaccia sotto la superficie, qualcosa è catturato lì in mezzo. Balloon Dog per esempio è come un cavallo di Troia: ha una sua straordinaria bellezza, data anche dalla sua dimensione, ma ha anche una più oscura vita interiore. E ha una forte energia sessuale. Per ottenere questi risultati ci è voluto molto tempo, molto lavoro. Credo nel controllo della materia e ho la mia visione. Non penso di essere un perfezionista, ma sono attento ai dettagli, perché i dettagli sono un modo per far vedere agli spettatori che tengo a loro. Le persone mi stanno a cuore.
Per finanziare Celebration, si è ritrovato nei guai anche Jeffrey Deitch, ex gallerista e ora direttore del Moca di Los Angeles, e art adviser da tempo di Dakis Joannou. Deitch cinque anni fa ha dichiarato di essere il suo migliore amico, lo è ancora?
È uno dei miei migliori amici. Siamo arrivati a New York nello stesso momento alla fine degli anni Settanta. Nel mondo dell’arte si creano legami molto forti tra persone che hanno la stessa visione. Ho molto rispetto per il coraggio con il quale cerca di perseguire i suoi obiettivi. Ma il mio migliore amico è mia moglie Justine.
A proposito di matrimonio, c’è chi sostiene che abbia sposato la sua prima moglie, Ilona Staller, per vivere un’esperienza totalizzante allo scopo di realizzare la serie Made in Heaven.
Dopo aver realizzato Banality alla fine degli anni Ottanta, il Whitney Museum mi ha chiesto di realizzare un’immagine per un cartellone pubblicitario di New York. Ho deciso di assumere Ilona dopo aver visto una sua imagine su una rivista in un autogrill in Italia mentre pagavo il mio cappuccino. Mi è venuta l’idea di ricreare lo stesso set fotografico e posizionarmici anch’io come se stessimo girando un film. Come un Adamo ed Eva contemporanei, per eliminare il senso di colpa e la vergogna. Mentre facevamo le foto, ne sono stato intrigato, lei flirtava con me e ho finito per innamorarmene veramente. Una parte di lei è innocente.
Cosa trova sexy in una donna?
Il suo amore per la vita.
E cosa l’ha fatta innamorare di sua moglie Justine?
Il suo carattere, la sua bellezza, la sua intelligenza. Lavorava come mia assistente nel mio studio e mi incoraggiava molto. Ma da quando abbiamo avuto il nostro primo figlio ne rimane fuori. È un’ottima madre.
E lei è un buon padre?
Ho quattro figli a casa. E un altro in arrivo. È per loro che sono un collezionista: un giorno cresceranno, si renderanno conto che i loro genitori sono famosi. E voglio che capiscano che il mondo dell’arte è molto più grande dei loro genitori. Cerco anche di incoraggiarli molto. Voglio che diventino dei leader.
C’è un gran silenzio nel suo studio, lei non ama la musica?
La ascolto in macchina. Amo i Led Zeppelin. Li considero la mia prima esperienza artistica. Sono appassionati e filosofici. Sto per consegnare un premio a Jimmy Page. Sono molto eccitato.
Tanti successi, figli, denaro, ma oggi che è “arrivato” ha una paura? E, se sì, quale?
Il fatto che tutto sia destinato alla distruzione.
IL SG KOONS TOTALMENTE HA DIMENTICATO IL SUO FIGLIO LUDWIG KOONS CHE VIVE A ROMA DA BAMBINO CON LA MAMMA ILONA STALLER-NELLE SUE DICHIARAZIONI RIGUARDO LA SUA FAMIGLIA AMERICANA IL POVERO LUDWIG NON ESISTE..MA CHE TRISTEZZA E CHE POVERTA D ANIMO DEAR SG KOONS-E IL TUO SANGUE LUDWIG CHE HAI COMPLETAMENTE IGNORATO-ELIMINATO- MA RICORDATI CHE DIO VEDE E PROVVEDE......
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