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venerdì 30 ottobre 2009

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Riti, tradizioni, leggende ammantano la notte di Ognissanti
Tutte le proposte per chi vuole andare al di là dell'horror di plastica

Halloween, viaggio nell'Italia
dove vivi e morti fanno festa insieme

credit: JENNER MELETTI La Repubblica.it


COLLALTO - Nel silenzio della sera, solo il borbottio della "zuppa stregata" che sta cuocendo nel pentolone di rame. Poi un anziano comincerà a raccontare. "C'era una volta un serva che fu fatta murare viva da una padrona gelosa. Certe notti lei torna. Si chiama Bianca. Se ha una veste candida, è annunciatrice di gioie. Se sul volto ha un velo nero, annuncia catastrofi...". Anche le leggende, soprattutto quelle che fanno venire i brividi alla schiena, diventano "turismo". La Regione Veneto, in collaborazione con la Coldiretti, organizza brevi vacanze in piccoli hotel e agriturismi, fra Collalto, Torcello e Valbrenta, per far compiere, a chi vuole, un salto nel passato: trascorrere la notte dei Morti ascoltando le stesse storie di paura che i bisnonni dei nostri bisnonni raccontavano ai loro nipotini, nelle cucine illuminate solo dal camino o nei "filò" dentro le stalle, riscaldati da mucche e vitelli. "C'erano una volta sette pescatori che decisero di andare a lavorare anche nella ricorrenza dei defunti. Nelle loro reti si impigliò un cadavere. I pescatori tornarono al capanno, mangiarono il pesce con la polenta e bevvero molto vino. Ad un tratto il morto - che era stato lasciato sulla barca - entrò nel capanno e li maledisse: tutti i pescatori morirono di paura. La valle esiste davvero: si chiama la Valle dei Sette Morti".

Almeno queste non sono paure di plastica, come le maschere, i cappelli e i dolcetti della notte di Halloween. Sono storie che sono rotolate attraverso i secoli e che ancora oggi ci raccontano come fosse vissuta, un tempo, questa notte speciale. I bambini siciliani facevano fatica ad addormentarsi, perché sapevano che "i morti girano per casa, per consegnare i regali". Se sei sveglio, ti "cattigghiunu i pedi". Per fortuna arriva l'alba e inizia la caccia alle bambole, al fucile o al cesto di taralli e pupi di zucchero lasciato dai Morti. A Boffetto di Piateda si racconta ai piccoli che il primo novembre, a mezzanotte in punto, i morti escono dal cimitero in processione. Hanno una candela in mano e vanno verso la chiesa del paese. Prima di tornare al cimitero, entrano per qualche minuto nelle loro case. Per questo, sul tavolo di cucina, vengono lasciate delle castagne. Chi avesse il coraggio di guardare i Morti, vedrebbe solo i lumini. I loro corpi sono trasparenti. Si narra che un falegname coraggioso si intrufolò fra di loro e, invece di una candela, si trovò fra le mani un osso di morto. In altri paesi i Morti non hanno bisogno delle candele: per illuminare la processione "accendono" il pollice destro.


Molte notti vivono ormai solo nel ricordo dei vecchi. In alcuni paesi lombardi si lasciava in cucina un vaso di acqua fresca, "perché i morti possano dissetarsi". Anche in Friuli si lascia un lume acceso, un secchio d'acqua e un po' di pane. In Trentino si suonano le campane per richiamare le anime che tornano e osservano i loro cari dalle finestre delle case. Per questo si lascia il fuoco acceso. In Piemonte e Val d'Aosta si prepara la tavola e poi si va a fare visita al cimitero, per lasciare campo libero alle Anime. Nelle campagne cremonesi - anche questa è una tradizione ormai dimenticata - ci si alza presto al mattino e si riassetta subito il letto, perché il Morto possa riposare qualche ora a casa sua. In Val d'Ossola, dopo avere cenato, le famiglie andavano al cimitero per lasciare le case vuote ai defunti che tornavano in visita.

E dopo la notte di paura (e in tante città di speranza per i regali) inizia la festa. "Fera di li morti" a Ribera di Agrigento, "Festa de is Animaddas o is Mortus" in Sardegna, "Fiera dei Morti" a Perugia, a Civitella di Romagna, Palermo, Catania, Asiago, Legnano... Si torna a casa con le fave, i dolcetti, gli ossi dei morti. Si insegnano ai bambini le antiche filastrocche. "Vi salutu morti, a tutti - si narra nelle campagne di Ribera - comu la terra fùstivu arridutti... Nui prigamu a Diu pi vui / vui prigati a Diu pi nui". Un tempo, in alcune città come Roma, si andava al cimitero per il pranzo, con la tovaglia stesa accanto alla tomba. E La tovaglia è forse la poesia più struggente, dedicata a chi non c'è più da Giovanni Pascoli. "Bada che vengono i morti / i tristi pallidi morti". Per questo bisogna lasciare sul tavolo la tovaglia bianca. "E si fermano seduti / la notte intorno a quel bianco / stanno lì sino al domani / col capo tra le due mani / senza che nulla si senta / sotto la lampada spenta".

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"Rifiutare di avere opinioni è un modo per non averle. Non è vero?" Luigi Pirandello (1867-1936)