NEW YORK - I bronzi di Pompei, la ‘Danae’ di Tiziano, il camposanto di Pisa… Queste e migliaia di altre opere non sarebbero più accessibili all’ammirazione di milioni di appassionati d'arte, se non fosse per l’eroico sacrificio di un gruppo di esperti che, tra le fila dell’esercito Usa, durante la seconda guerra mondiale misero a repentaglio le proprie vite per sottrarre a razzie e distruzione i più importanti capolavori italiani.
E’ la storia, inedita e avvincente, raccontata in ‘The Venus Fixers’(Gli Aggiustaveneri) da Ilaria Dagnini Brey, scrittrice e giornalista di origine padovana da 20 anni residente a New York. Il libro è appena stato pubblicato in America da Farrar, Straus and Giroux.
Com’è venuta a conoscenza e si è appassionata a questo tema?
Volevo scrivere un articolo sulla storia della Cappella Ovetari, nella Chiesa degli Eremitani a Padova, originariamente tutta affrescata dal Mantegna ma che fu distrutta dalle bombe alleate la mattina dell'11 marzo 1944. Mentre cercavo di ricostruire le circostanze e il perché del bombardamento ho scoperto che l'esercito alleato aveva un piccolo gruppo di ufficiali addetti alla protezione dei nostri monumenti e opere d'arte. Fino a quel momento non ne sapevo niente, mi è sembrato un fatto straordinario e ho deciso di scoprire chi fossero questi uomini.
C'è una componente autobiografica?
Padova è la città dove sono nata e cresciuta e le storie del bombardamento e del successivo salvataggio dei frammenti della cappella Ovetari fanno parte delle mie memorie d'infanzia.
Perché questo titolo?
Il titolo, gli "aggiustaveneri", si riferisce al soprannome, un po' dispregiativo e canzonatorio, che altri elementi dell'esercito diedero a questi ufficiali. Inizialmente, l'idea che l'esercito alleato avesse con sé degli uomini che si occupavano di quadri e di statue non fu vista di buon occhio da alcuni dei comandanti e dalle loro truppe; ma questi "ufficiali addetti ai monumenti," o "aggiustaveneri," avevano la fiducia e il sostegno di Eisenhower e altri generali e finirono per essere accettati.
Perché ha deciso di fare dell'Italia il focus della sua ricerca?
Gli ufficiali addetti ai monumenti, che operarono in tutta Europa durante le varie fasi della guerra, furono un'ottantina: troppi per poterne parlare in un libro senza farne una specie di enciclopedia. Ho scelto l'Italia per
ovvie ragioni autobiografiche, ma anche perché l'Italia rappresentò il primo atto di questa "guerra per i monumenti," e, data la ricchezza del suo patrimonio artistico, forse la più cruciale. Inoltre, in Italia le operazioni di salvataggio di questi ufficiali si svolsero mentre il conflitto era ancora in atto e, letteralmente, mentre ancora cadevano le bombe e fischiavano le pallottole; in altri paesi d'Europa invece, questi ufficiali si occuparono prevalentemente di recupero di opere d'arte rubate dai nazisti, a guerra finita.
L'eroe del libro è Frederick Hartt. Perché proprio lui?
Frederick Hartt fu l'ufficiale addetto ai monumenti della Toscana: coadiuvato da un paio di altri ufficiali, Hartt si trovò a portare i primi soccorsi a decine di monumenti danneggiati della regione italiana artisticamente più ricca e, purtroppo, più gravemente colpita dalla guerra. La campagna d'Italia raggiunse il suo culmine più drammatico
nell'estate del 1944 proprio in Toscana e, insieme con la popolazione, anche i monumenti ne pagarono tragicamente le conseguenze.
E perché Firenze è al centro delle vicende?
Firenze in particolare fu stretta nella morsa dei due eserciti e divenne una delle grandi vittime della lotta: data la sua bellezza, la sua importanza di città d'arte e la tragicità della sua sorte durante la guerra mi è sembrato che Firenze dovesse essere il centro naturale, quasi il cuore, della mia storia. Il nome di Hartt e' legato per sempre a Firenze e alla guerra; inoltre Hartt era giovane, uno storico dell'arte appassionato e pieno di entusiasmo e piaceva ai suoi colleghi fiorentini e quindi emerge quasi naturalmente come "eroe" del libro.
Il Duomo di Firenze visto da Palazzo Pitti la notte tra il 3 e il 4 agosto '44, quando furono fatti saltare i ponti (scattata dall'architetto Nello Baroni, proprietà della soprintendenza di Firenze)
Che cosa motivava questi straordinari uomini?
Gli ufficiali addetti ai monumenti del governo militare alleato erano storici dell'arte, curatori di musei, architetti, archeologi e artisti nella vita civile. Amavano l'Italia, parlavano la nostra lingua ma soprattutto conoscevano profondamente l'arte italiana che si trovarono a dovere, letteralmente, difendere dal nemico durante gli anni della guerra: quale sorte migliore, per un gruppo di studiosi le cui vite e attività si svolgevano tra le mura tranquille di un'università o di un museo, che vedersi catapultare nel ruolo di paladini dell'arte italiana?
Il generale Alexander, al centro, e Hartt, il primo a destra, nel cortile del castello di Montegufoni, in Val di Pesa, dove furono rinvenuti e sottratti alla linea del fronte 265 quadri di Palazzo Pitti e della Galleria degli Uffizi che la soprintendenza aveva nascosto all'inizio della guerra per proteggerli dai bombardamenti.
Pensa che in Iraq la lezione della Seconda Guerra Mondiale sia stata messa a buon frutto?
Purtroppo in Iraq l'esempio della seconda guerra mondiale è rimasto lettera morta. Alla vigilia degli sbarchi alleati in Sicilia, l'iniziativa di inserire un gruppo di ufficiali per i monumenti ai contingenti alleati fu approvata dal presidente Roosevelt e da Winston Churchill. Sono invece tristemente famose le affermazioni di Rumsfeld (che riflettevano evidentemente le posizioni dell'amministrazione di George Bush sull'argomento): "stuff happens."
Che ruolo ha svolto l'italiano della strada nell'aiutare questi studiosi durante la guerra?
Più che l'italiano medio, furono i soprintendenti italiani dell'epoca i veri alleati degli ufficiali addetti ai monumenti. Uomini come Pasquale Rotondi, Emilio Lavagnino, Giovanni Poggi, Ugo Procacci, Bruno Molajoli, per citare solo i più prominenti di questa storia, dimostrarono non solo grande competenza ma diedero prova di un coraggio e di una dedizione al loro incarico da mettere, in alcuni casi, a rischio la propria vita per la tutela del nostro patrimonio artistico.
Può citare le 5 opere più importanti salvate e recuperate da questi studiosi?
Le opere d'arte che i nazisti stavano sottraendo ad alcuni musei italiani e che furono fortunosamente ricuperate in Alto Adige nei primi giorni di maggio del 1954 erano quasi seicento. Tra queste erano alcuni dei più bei bronzi provenienti da Pompei, dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e la "Danae" e la "Lavinia" di Tiziano che la Divisione Goering aveva sottratto dal deposito di Monte Cassino per farne un regalo di compleanno al Reichsmarschall.
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